Giallo storico, ambientato Roma nel periodo gennaio-giugno 1944, durante
l'occupazione nazista. Ma il giallo è il pretesto, lo spunto, per
raccontare altro: il punto di vista e le riflessioni di un militare
tedesco, l'ufficiale investigatore Martin Bora, sulla guerra, sulla
repressione contro i partigiani e la deportazione degli ebrei. Deve
muoversi in un territorio ostile, la città di Roma, di cui ne è
affascinano, lui uomo di cultura che ha studiato filosofia. I tedeschi
sono visti come invasori, sgraditi ospiti, che occupano militarmente una
città definita “aperta”. Fondamentale la visita al monumento della
lupa, che difende i cuccioli d'uomo contro un nemico: Bora si rende
conto che il nemico è lui, sono loro.
Molti personaggi della storia sono realmente esistiti: tra i
tedeschi, Kesserling, l'ambiguo colonnello Dollmann (che fu assoldato
dalla CIA al termine della guerra), Kappler e Priebke. Il cardinale
Montini, sostituto della segreteria di stato in Vaticano e il questore
Pietro Caruso, tra gli italiani. Ma è soprattutto autentica la
ricostruzione della città, dal punto di vista dell'ambientazione,
l'umore della popolazione, i gerarchi e funzionari fascisti, che non si
rendono conto della loro fine.
La storia gialla parte da una morte: quella di una impiegata
all'ambasciata tedesca. Nell'indagine è affiancato dall'investigatore
Sandro Guidi, con cui aveva già lavorato nei giorni trascorsi a Verona,
raccontati nel libro “Luna bugiarda”. A Guidi, il questore Caruso
consegna una soluzione già impacchettata: dare la colpa ad un gerarca
fascista, Merlo, amante della morta. Ma Guidi e Bora riusciranno,
nonostante la guerra, le SS, ad arrivare alla soluzione. Se la storia
della morte non è vera, è molto verosimile: ma sono vere le vicende
raccontate dalla scrittrice e che coinvolgono direttamente Bora e Guidi.
La repressione nazista, contro ebrei, partigiani e renitenti, gli
attentati contro le forze di occupazione tedesche, che porteranno
all'attentato di Via Rasella. Sono descritte molto bene le fasi
concitate, che portarono alla tremenda rappresaglia: l'ordine prima di
far saltare il quartiere, poi di uccidere 50 italiani per ogni tedesco
morto, fino alla scelta della proporzione di 10 a uno.
Il libro è molto scenografico e si
presterebbe molto bene ad una riduzione cinematografica (pur rimanendo
il problema di come riprodurre sullo schermo le riflessioni di Bora): al centro della scena
c'è il maggiore della Wehrmacht Martin Bora. Amante della guerra, ma
paradossalmente anche antinazista. Nella nota a termine del libro,
l'autrice cita il libro di Omero, l'Iliade, poichè uno dei temi
affrontati dal libro è quello del soldato in territorio nemico, come
l'oplita sotto le mura di Troia. Ebbene, se dovessi trovare un
aggettivo, mi viene in mente proprio “Epico”.
Bora come uno degli eroi
greci, Ettore probabilmente: capace, sotto un bombardamento ad
un'ospedale, di uscire dalle rovine, “Con uno sforzo inaudito,
attraverso le macerie Bora raggiunse il letto e afferrò la mano
frenetica dell'americano che vi giaceva”.
Il suo alter ego, l'ispettore
Guidi, vive un rapporto controverso con il tedesco: sente di poter
provare per lui un'amicizia, ma l'episodio delle Fosse Ardeatine tronca
ogni cosa. Guidi pensa per un attimo anche di uccidere Bora, ma non ci
riesce. Solo alla fine i due si salutano andando in direzioni opposte,
Guidi verso la resistenza (ma solo dopo che il tedesco è uscito da Roma)
e Bora verso il nord. Sono gli occhi di Bora che ci descrivono
l'atmosfera di Roma all'arrivo degli americani, altre pagine splendide:
la gioia, le signorine attorno ai militari, la gente in piazza.
Per concludere è un libro che vale la pena di leggere. Al termine
rimane un senso quasi di vuoto, come se il termine del libro ci venga
privato qualcosa.
Gennaio 2005
Il link su ibs
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