mercoledì 26 settembre 2012

In cerca di una patria di Alfio Caruso

La guerra del nostro esercito, durante la seconda guerra mondiale, dal 8 settembre 1943 fino al maggio 1945. Una guerra dimenticata: se le battaglie compiute a fianco dell'alleato germanico vengono ricordate a malapena, quasi con vergogna, questo è prorio un capitolo assente dai libri di storia. Alfio Caruso si da il compito di riportare a galla questa pagina, come già avvenuto per la storia del massacro della divisione Acqui a Cefalonia, raccontato nel libro “Italiani, dovete morire!”. O come la storia della ritirata degli alpini in Russia, quando accerchiati, feriti, dovettero combattere per spezzare l'accerchiamento delle truppe corazzate russe, nel libro “Tutti i vivi all'assalto”. Nel suo precedente libro, “Arrivano i nostri”, aveva svelato i retroscena dello sbarco alleato in Sicilia, nel 1943, le complicità tra mafia, massoni, doppiogiochisti della marina italiana per abbattere il fascismo in Sicilia e preparare il terreno agli alleati.


In questo libro si parla di quanti, l'8 settembre 1943, dovettero porsi la domanda: da che parte stare? Cosa faccio? Alla notizia dell'armistizio, con il re, Badoglio, la corte i più alti gradi dell'esercito in fuga, le nostre forze militari si trovarono impreparate a fronteggiare la reazione dei tedeschi. Molti scappano, qualcuno sceglie di andare dalla parte dei tedeschi, ma molti decidono di impugnare le armi contro quello che fino a ieri è nostro nemico. Occorre riscrivere la storia, sollevare dal fango lonore della patria (una patria né monarchica né repubblicana, ma solo una patria in cui ritrovarsi). Il prezzo pagato per questa scelta è stato alto: 86000 morti, dei quali 25000 nel solo mese di settembre, il settembre nero dell'esercito italiano.
Morirono sui campi di battaglia e nei lager tedeschi: ma di loro non se ne parla mai.
La tesi sostenuta dall'autore è che al termina della guerra fu stipulato un compromesso “l'Italia che si appoggiava agli Stati Uniti lasciò alla Sinistra il monopolio e i meriti della resistenza; di converso, l'Italia che si appoggiava all'URSS consentì che la borghesia e i moderati, spesso cementati dalla comune appartenenza alle rinate logge massoniche, assolvessero, in certi casi senza nemmeno processarli, i principali responsabili dell'8 settembre (Badoglio, Ambrosio, Roatta cui si permette di fuggire, Carboni, Vittorio Emanuele III, Umberto ) e della Repubblica sociale (Graziani Anfuso Borghese).

E così oggi, nessuno conosce le gesta del militari del CIL (Corpo Italiano di Liberazione), composto da ragazzi che avevano già combattuto nelle steppe o nel deserto africano; molti erano stati convinti fascisti, ma lo sfacelo di quei giorni gli fa aprire gli occhi. Il CIL fu composto da unità provenienti da alpini, bersaglieri, fanti, artiglieri, i parà della Nembo, e combatte, all'interno delle forze alleate, una volta sotto il controllo con la V armata (USA, comandata dal generale Clark), a volte sotto la VIII armata (inglese, gen Leese), a fianco di inglesi, polacchi, canadesi e neozelandesi. Il libro alterna alle vicende belliche (Monte Lungo, Monte Marrone, Filotrattano, Ostra), le vicende e la presa di coscienza di 15 giovani militari, che l'armistizio coglie nelle varie parti dell'Europa dove le armate italiane erano dislocate, Grecia, Jugoslavia, Albania e Italia. I nostri militari furono inizialmente usati per compiti di controllo o di fatica (riparazione di strade, ponti), poi subirono il battesimo di fuoco a Monte Lungo (8/12/1943). Dovevano vincere le diffidenze degli alleati che non si fidavano di loro: ma anche in condizioni così difficili molti riuscirono a farsi onore, a guadagnarsi la stima degli angloamericani e ribaltare l'immagine dell'italiano cattivo combattente. Come i militari della Folgore, che si erano già fatti conoscere ad El Alamein “un nome rispettato e ammirato anche dagli stessi inglesi, un nome portato già da Gay e dai suoi commandos al servizio dell'antifascismo e che nel dopoguerra soltanto l'imbecillità della sinistra potrà regalare al fascismo.

La nostra repubblica passa anche per il loro sacrificio, ed è giusto ricordarli. Assieme ai morti partigiani. Preferirei, ma è una mia provocazione, festeggiare la data dell'8 settembre, anziché il 25 aprile. Il 25 aprile segna la fine di una lotta: ma è nell'8 settembre che si prendono le scelte: il re, la sua corte, i generali (molti dei quali beneficiati dal fascismo stesso) decide di scappare. Altri, anche i nostri uomini in divisa, scelsero di mettere in gioco la propria vita, per riscattare la nostra libertà. 

Aprile 2005
Il ilnk su ibs

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