giovedì 27 settembre 2012

Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer

Un libro che contiene molte storie: un figlio alla ricerca del padre o, meglio, alla ricerca di in ricordo del padre che ne plachi il dolore della scomparsa; un padre che scrive le lettere al figlio che non ha mai conosciuto; una nonna che scrive al nipote della sua vita, il suo incontro col nonno, il suo amore per la sorella.
Storie che hanno un denominatore comune: il dolore per la perdita di qualcuno, che sia qualcuno perso nella notte del bombardamento di Dresda,o a Hiroshima, dopo la bomba atomica o a New York, dopo l'11 settembre. Il collante di queste è Oskar, un ragazzo di 12 anni, pieno di idee per nuove invenzioni: una camicia con becchime per poter volare su New York trasportato dagli uccelli, un lago dove raccogliere tutte le lacrime, in modo che dal livello delle lacrime la gente potesse vedere il livello della sofferenza. Perde il padre nella drammatica giornata dell'11 settembre: frugando tra i ricordi lasciati trova, in un vaso, una chiave che non apre nessuna porta della casa con scritto sopra il nome Black. Deve scoprire a chi appartiene quella chiave, in modo da placare il proprio dolore e trovare qualcosa che lo renda ancora vicino al padre: è disposto a cercare tra tutti i Black di New York, non importa quanto tempo ci impiegherà.

La ricerca di Oskar si alterna alle lettere del nonno (padre di suo padre), Thomas che scrive al figlio che non ha mai conosciuto: arrivato in america dalla Germania, scampato al bombardamento di Dresda dove ha perso la sua casa, il suo amore. Il dolore per la perdita lo ha reso muto e lo costringe ad esprimersi tramite foglietti, a scrivere su quaderni, sui muri ...
Foer passa da un racconto ad un'altro: dalla ricerca di Oskar sulle tracce del padre, alle confessioni del padre al figlio. Forse alla prima lettura non si riesce a cogliere tutti i dettagli del racconto, per i frequenti salti temporali, ma arrivati alla fine tutti i racconti (e tutti i personaggi) convergono verso un'unica destinazione. Geniale l'utilizzo delle immagini, utilizzate laddove l'uso delle parole non era sufficiente: come ad es. nel finale, quando Oskar immagina cosa sarebbe successo se nelle torri non fossero presenti tutti quei fogli bruciati, dove la gente si scegna le cose che non riesce a dirsi (almeno nella sua testa). Probabilmente le torri non sarebbero crollate: Oskar raccoglie le foto dell'uomo che, dal panico, si getta dalle torri, e ne capovolge l'ordine. Quest'uomo, che Oskar identifica come suo padre, magicamente salirebbe nel cielo, fotogramma dopo fotogramma, riprendrebbe la strada per casa e sarebbe ancora vivo.

Quale messaggio lascia il libro? Foer usa le memorie della nonna, quando parla del suo legame per la sorella morta sotto le bombe a Dresda, che lascia scritto per il nipote:

Le dissi: voglio dirti una cosa. Rispose: puoi dirmela domani. Non le avevo mai detto quanto le volevo bene. Era mia sorella. Dormivamo nello stesso letto. Non era mai il lomento giusto per dirlo. Non era mai necessario.Pensai di svegliarla. Ma non era necessario. Ci sarebbero state altre notti.
E come fai a dire ti voglio bene a una persona che vuoi bene? Mi voltai su un fianco e mi addormentai vicino a lei. Ecco il senso di tutto quello che ho cercato di dirti, Oskar. E' sempre necessario. Ti voglio bene,
La nonna.

Un libro che diverte, appassiona, commuove: parte dalla tragedia dell'11 settembre per avvolgere e legare tutte le morti civili (le torri gemelle, Dresda, Hiroshima) della guerra, di tutte le persone che la guerra ha separato per sempre "New York diventa così l'immagine riflessa di Dresda sotto le bombe degli Alleati, di Hiroshima dopo la bomba atomica. E allo stesso modo, grazie al profondo senso di compassione che l'autore sa trasmettere, i sentimenti di Oskar sono quelli di ogni figlio che ha perso troppo presto il padre".

Maggio 2005,
il link su ibs

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