Secondo libro di Michele Giuttari: avevo apprezzato
il precedente ("Scarabeo") per le descrizioni degli ambienti della
questura, il clima delle indagini. Meno per la storia in sè: soprattutto
il finale, come se fosse stato scritto troppo in fretta.
"La loggia degli Innocenti"
inizia col ritrovamento del cadavere di una ragazzina, cui la polizia
non riesce a stabilire l'identità. Mentre tutti classificano
frettolosamente la morta come "giovane prostituta", morta per overdose,
solo il commissario Ferrara, capo della squadra mobile
di Firenze, si ostina a voler scoprire come è morta. Scopre che, forse,
il primo medico che l'ha presa in cura, non ha compiuto in modo
corretto gli esami per stabilire se la ragazza (che viene
temporaneamente ribattezzata Stella) fosse stata drogata. Ma l'indagine
sul versante medico viene bloccata dall'alto.
Contemporaneamente
l'amico libraio, Massimo Verga, scompare, assieme alla moglie di un
industriale Simonetta Tonelli, di cui era l'amante. Massimo Verga è
accusato della morte del marito, Ugo Palladiani, trovato morto dai
carabinieri nella propria casa in Versilia. Ferrara dopo uno scontro col
capitano dei cc, che seguono la pista del delitto passionale, è
costretto a prendersi una vacanza per poter indagare in proprio. Solo
dopo la morte di una giornalista, che stava seguendo anch'essa il
delitto della Versilia, Ferrara inizia ad intuire la verità. In Toscana è
in atto l'infiltrazione di cosche mafiose, che si occupano del traffico
della droga, che adoperano le cave di marmo (di cui Simonetta Tonelli
era proprietaria) come base per lo smercio.
Un buon libro, meglio del precedente, con una storia ben strutturata, ma siamo ben al sotto della definizione "un romanzo che consacra definitivamente Giuttari come uno dei maestri del thriller italiano".
Quali
sono gli aspetti meno riusciti? Prima di tutto il libro è troppo
incentrato sulla figura di Michele Ferrara: tutti gli altri personaggi
fanno la figura di comparse. Giuttari avrebbe dovuto dosare meglio il
peso delle persone: in questura vale il gioco di squadra, perchè non
dare più luce ai vari Serpico, Rizzo ecc.?
Secondo: la descrizione
dell'ambiente nel quale si svolge il giallo: di Firenze l'unico aspetto
che emerge è l'afa estiva. Un pò poco. Impari da altri giallisti: da
Colaprico, Machiavelli, Lucarelli, Camilleri, fino ad arrivare
all'estremo di Biondillo, la cui descrizione dei quartieri di Milano e
dei suoi personaggi, quesi mette in ombra la storia investigativa.
Infine,
Ferrara stesso: troppo poco riflessivo. Mancano i suoi pensieri, le sue
debolezze, le sue passioni (oltre a quella del sigaro). Ci vorrebbe un
pò dell'autoironia dei personaggi di Lucarelli (penso al sovrintendente
Coliandro) o Machiavelli (il sergente Sarti), le riflessioni di
Montalbano (penso all'inizio de "Il giro di Boa", con la rabbia per le notizie del G8) e le sue debolezze (il cibo, il suo sentirsi un Dio in terra, magari di quart'ordine).
Da un poliziotto come Giuttari, con la sua esperienza, possiamo e dobbiamo aspettarci di meglio.
Aprile 2005
il link su ibs
Nessun commento:
Posta un commento