La notte dei generali è appunto la notte del 20 luglio 1944, del fallito attentato: gli ufficiali legati al complotto sono arrestati, uccisi o costretti a scappare, come nel romanzo Kahlemberg: “E' con ciò per noi la guerra è praticamente finita. È scesa la notte dei generali. Se vogliamo sopravvivere dobbiamo vestire panni borghesi. Tiriamo una grossa riga e chiudiamo la partita, non ci resta altro da fare”.
La terza parte del libro è ambientata nel 1956, in Germania. I superstiti hanno cambiato mestiere, la guerra è finita ma Prevert, un commissario di polizia che aveva collaborato con Grau a Parigi, vuole chiudere i conti. È qui l'azione lascia lo spazio alla voce dell'autore, attraverso Kahlemberge (il generale del gruppo degli attentatori) e Prevert: i vecchi generali sopravissuti alla guerra, sbugiardati dalla storia che ne ha rivelato fino in fondo i loro errori, sono ancora in vita e pronti a riaffermare le loro idee sullo spirito di grandezza della Germania, di cui loro si credono ancora principali interpreti. Kahlemberge (ed anche l'autore) avverte il pericolo che nuovamente queste malsane idee nazionaliste, possano tornare a circolare. Il romanzo termina con lo smascheramento del generale assassino, ma con un'accusa all'intera casta militare che aveva contribuito a far precipitare la Germania nella guerra. C'è una pagina, dove l'autore mette di fronte il generale assassino, e un suo soldato, testimone di uno dei suoi delitti: è una pagina da leggere e tenere a mente per la profondità del contenuto e, purtroppo, per la sua attualità.
“I generali comandano migliaia di soldati. E migliaia di questi uomini i generali non li hanno mai visti, probabilmente non hanno mai scambiato una parola con loro, non hanno mai sentito il loro nome; però sono i loro generali.Per i generali la maggior parte di queste migliaia di soldati sono semplicemente parti di compagnie o reggimenti, un numero fra molti numeri, dalla cui somma risulta poi l'inventario giornaliero dell'unità [...] La parola di un generale .. e migliaia di soldati marciano, attaccano, si ritirano, o corrono a morire. Non si può immaginare forma di potere più completa, più totale di quella dei generali quando vige lo stato di emergenza, quando la sola a dettar legge è la guerra. [...] Dove gli uomini agiscono in massa, perdono il loro volto, il loro nome, la loro realtà umana .. nei capannoni delle fabbriche come nelle tribune dei giochi popolari o nelle caserme, che sono le anticamere della guerra. [...] Le decisioni dei generali riguardano dunque la vita e la morte, e non di singoli individui, come capita ad un giudice o a un medico, ma di migliaia. E le somme ultime delle guerre che i generali conducono, toccano i milioni. [...] Un generale deve essere consapevole che in tempo di guerra gli si richiede ininterrotamente di prendere questa che è la più dura e più difficile delle decisioni. Ma appunto per questo egli non ha altra scelta che quella dell'umiltà. La consapevolezza di portare un peso che è il più grace che possa cadere sulle spalle umane, che deve essere sempre vigile, altrimenti questa scalata al potere di uomini senza scrupoli, o delittuosa stupidità o ancora sete conscia o inconscia di sangue. E tutto questo sficia in un denominatore comune, in un solo risultato: il delitto. E frasi come <<Nulla si ottiene senza sacrificio!>> o <<Gli uomini sono il concime della storia>> non sono che comidi luighi comuni. Per certi storici le vie che conduconoad un'umanità migliore sono sempre lastricate di cadaveri .. solo che essi non sono fra questi cadavero e non hanno intenzione di esserlo. [...] Ci sono anche questi generali. Ma non ci sono solo questi. Alcuni generali sono soldati tra i soldati. Cercano di vivere come il più umile dei loro fanti; [...] Esistono generali che non solo vogliono servire con coerenza ed onestà, ma soffrono e meditano: sul significato della loro esistenza, sul valore della nazione, sulle responsabilità non solo verso i singoli ma anche verso la storia. Sono gli uomini del 20 luglio. [....] Ma vi furono generali che non sono e che non furono altro che zelanti servitori di chi detiene il potere. [...] Quando erano tra loro chiamavano il comandante supremo (Hitler) <<porco>> o <<maiale>>. Ridevano di lui, lo denigravano. [...] Ma inconcepibile rimane il fatto che questi stessi generali non hanno esitato a mandare a morire migliaia e centinaia di migliaia di poveri soldati. [...] E vi sono infine altri generali che non furono e non sono altro che strumenti, operai della guerra, spaventosi esemplari del sergente di caserma all'ennessima potenza. [...] Sotto di loro si combatte e si muore.. ed è sempre pronta una giustificazione valida. [...] Terrorizza l'idea che fra i generali possano allignare tipi simili. In quanto ogni altro settore della vita si è disposti ad ammettere l'esistenza di nature tanto ambigue: uomini d'affari, che per amore del profitto rovinano allegramente il prossimo; magnati dell'industria e della finanza che con mezzi leciti ed illeciti rovinano ditte concorrenti e cercano persino l'appoggio dello stato; beniamini del pubblico adoratori delle folle, un bel giorno si rivelano perfetti imbecilli o dei maniaci sessuali. [...] Ma nel settore dei generali non si tollerano mezze misure, ambiguità, insufficienze. Perchè i loro calcoli si pagano col sangue. [...] Ai generali non è dato guardare negli occhi i loro soldati nell'ora della decisione. Ma se in quel momento un generale non pensa ai suoi soldati, ha già fallito, davanti alla vita, davanti agli uomini, davanti a Dio.”
Belle parole, attuali, anche se scritte nel 1965. Da questo romanzo è stato tratto il film diretto da Anatole Litvak, con Peter O'Toole e Omar Sharif. Indimenticabile la scena in cui il generale Tanz (O'Toole) si trova di fronte l'autoritratto di Van Gogh, “l'ultimo sguardo a se stesso, prima di precipitare sull'abisso del nulla”.
Marzo 2005.
Non trovo nessun link per ordinare il libro (qui per uno usato).
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