Un giallo con una protagonista femminile, un funzionario del Sisde,
Irene Bettini. Non è un'agente operativo, poichè si occupa dell'ufficio
che archivia le informazioni che arrivano ai servizi. Conosce Taddei, un
agente operativo che vuole sapere tutto del sistema di fuzionamento del
suo archivio. Se ne innamora: tra loro nasce una relazione
sentimentale, sebbene l'agente sia già sposato.
Ma dopo il ferimento
dell'agente, la sua vità subisce una brusca deviazione dalla
quotidianità. Sospettata di aver sparato a Taddei, viene ricercata dalla
polizia. Anche il libro prende ritmo a questo punto, con la
protagonista, Irene che non sa più di chi fidarsi: nè del proprio capo,
nè del giudice che coinduce le indagini ... dovrà condurre un'indagine
privata, ai limiti della legalità, per cercare le prove che la
scagionino e capire da chi è partita la fuga di notizie.
La figura del personaggio è un pò debole e, almeno nella parte
iniziale, scontata (single, carina, con una storia alle spalle). Il
libro, che parte in sordina, cresce nella parte centrale, dove Irene si
trova coinvolta in un gioco più grande di lei. Ha il difetto di avere un
finale un po' prevedibile, con l'innamoramento tra l'agente "buono" e
la novella investigatrice. Anche lo spunto da cui parte l'inchiesta, una
fuga di notizie da parte di in parlamentare nei confronti della mafia,
poteva essere utilizzato per costruire una storia più complessa.
Maggio 2005
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giovedì 27 settembre 2012
Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer
Un libro che contiene molte storie: un figlio alla ricerca del padre
o, meglio, alla ricerca di in ricordo del padre che ne plachi il dolore
della scomparsa; un padre che scrive le lettere al figlio che non ha mai
conosciuto; una nonna che scrive al nipote della sua vita, il suo
incontro col nonno, il suo amore per la sorella.
Storie che hanno un denominatore comune: il dolore per la perdita di qualcuno, che sia qualcuno perso nella notte del bombardamento di Dresda,o a Hiroshima, dopo la bomba atomica o a New York, dopo l'11 settembre. Il collante di queste è Oskar, un ragazzo di 12 anni, pieno di idee per nuove invenzioni: una camicia con becchime per poter volare su New York trasportato dagli uccelli, un lago dove raccogliere tutte le lacrime, in modo che dal livello delle lacrime la gente potesse vedere il livello della sofferenza. Perde il padre nella drammatica giornata dell'11 settembre: frugando tra i ricordi lasciati trova, in un vaso, una chiave che non apre nessuna porta della casa con scritto sopra il nome Black. Deve scoprire a chi appartiene quella chiave, in modo da placare il proprio dolore e trovare qualcosa che lo renda ancora vicino al padre: è disposto a cercare tra tutti i Black di New York, non importa quanto tempo ci impiegherà.
La ricerca di Oskar si alterna alle lettere del nonno (padre di suo padre), Thomas che scrive al figlio che non ha mai conosciuto: arrivato in america dalla Germania, scampato al bombardamento di Dresda dove ha perso la sua casa, il suo amore. Il dolore per la perdita lo ha reso muto e lo costringe ad esprimersi tramite foglietti, a scrivere su quaderni, sui muri ...
Foer passa da un racconto ad un'altro: dalla ricerca di Oskar sulle tracce del padre, alle confessioni del padre al figlio. Forse alla prima lettura non si riesce a cogliere tutti i dettagli del racconto, per i frequenti salti temporali, ma arrivati alla fine tutti i racconti (e tutti i personaggi) convergono verso un'unica destinazione. Geniale l'utilizzo delle immagini, utilizzate laddove l'uso delle parole non era sufficiente: come ad es. nel finale, quando Oskar immagina cosa sarebbe successo se nelle torri non fossero presenti tutti quei fogli bruciati, dove la gente si scegna le cose che non riesce a dirsi (almeno nella sua testa). Probabilmente le torri non sarebbero crollate: Oskar raccoglie le foto dell'uomo che, dal panico, si getta dalle torri, e ne capovolge l'ordine. Quest'uomo, che Oskar identifica come suo padre, magicamente salirebbe nel cielo, fotogramma dopo fotogramma, riprendrebbe la strada per casa e sarebbe ancora vivo.
Quale messaggio lascia il libro? Foer usa le memorie della nonna, quando parla del suo legame per la sorella morta sotto le bombe a Dresda, che lascia scritto per il nipote:
Un libro che diverte, appassiona, commuove: parte dalla tragedia dell'11 settembre per avvolgere e legare tutte le morti civili (le torri gemelle, Dresda, Hiroshima) della guerra, di tutte le persone che la guerra ha separato per sempre "New York diventa così l'immagine riflessa di Dresda sotto le bombe degli Alleati, di Hiroshima dopo la bomba atomica. E allo stesso modo, grazie al profondo senso di compassione che l'autore sa trasmettere, i sentimenti di Oskar sono quelli di ogni figlio che ha perso troppo presto il padre".
Maggio 2005,
il link su ibs
Storie che hanno un denominatore comune: il dolore per la perdita di qualcuno, che sia qualcuno perso nella notte del bombardamento di Dresda,o a Hiroshima, dopo la bomba atomica o a New York, dopo l'11 settembre. Il collante di queste è Oskar, un ragazzo di 12 anni, pieno di idee per nuove invenzioni: una camicia con becchime per poter volare su New York trasportato dagli uccelli, un lago dove raccogliere tutte le lacrime, in modo che dal livello delle lacrime la gente potesse vedere il livello della sofferenza. Perde il padre nella drammatica giornata dell'11 settembre: frugando tra i ricordi lasciati trova, in un vaso, una chiave che non apre nessuna porta della casa con scritto sopra il nome Black. Deve scoprire a chi appartiene quella chiave, in modo da placare il proprio dolore e trovare qualcosa che lo renda ancora vicino al padre: è disposto a cercare tra tutti i Black di New York, non importa quanto tempo ci impiegherà.
La ricerca di Oskar si alterna alle lettere del nonno (padre di suo padre), Thomas che scrive al figlio che non ha mai conosciuto: arrivato in america dalla Germania, scampato al bombardamento di Dresda dove ha perso la sua casa, il suo amore. Il dolore per la perdita lo ha reso muto e lo costringe ad esprimersi tramite foglietti, a scrivere su quaderni, sui muri ...
Foer passa da un racconto ad un'altro: dalla ricerca di Oskar sulle tracce del padre, alle confessioni del padre al figlio. Forse alla prima lettura non si riesce a cogliere tutti i dettagli del racconto, per i frequenti salti temporali, ma arrivati alla fine tutti i racconti (e tutti i personaggi) convergono verso un'unica destinazione. Geniale l'utilizzo delle immagini, utilizzate laddove l'uso delle parole non era sufficiente: come ad es. nel finale, quando Oskar immagina cosa sarebbe successo se nelle torri non fossero presenti tutti quei fogli bruciati, dove la gente si scegna le cose che non riesce a dirsi (almeno nella sua testa). Probabilmente le torri non sarebbero crollate: Oskar raccoglie le foto dell'uomo che, dal panico, si getta dalle torri, e ne capovolge l'ordine. Quest'uomo, che Oskar identifica come suo padre, magicamente salirebbe nel cielo, fotogramma dopo fotogramma, riprendrebbe la strada per casa e sarebbe ancora vivo.
Quale messaggio lascia il libro? Foer usa le memorie della nonna, quando parla del suo legame per la sorella morta sotto le bombe a Dresda, che lascia scritto per il nipote:
Le dissi: voglio dirti una cosa. Rispose: puoi dirmela domani. Non le avevo mai detto quanto le volevo bene. Era mia sorella. Dormivamo nello stesso letto. Non era mai il lomento giusto per dirlo. Non era mai necessario.Pensai di svegliarla. Ma non era necessario. Ci sarebbero state altre notti.
E come fai a dire ti voglio bene a una persona che vuoi bene? Mi voltai su un fianco e mi addormentai vicino a lei. Ecco il senso di tutto quello che ho cercato di dirti, Oskar. E' sempre necessario. Ti voglio bene,
La nonna.
Un libro che diverte, appassiona, commuove: parte dalla tragedia dell'11 settembre per avvolgere e legare tutte le morti civili (le torri gemelle, Dresda, Hiroshima) della guerra, di tutte le persone che la guerra ha separato per sempre "New York diventa così l'immagine riflessa di Dresda sotto le bombe degli Alleati, di Hiroshima dopo la bomba atomica. E allo stesso modo, grazie al profondo senso di compassione che l'autore sa trasmettere, i sentimenti di Oskar sono quelli di ogni figlio che ha perso troppo presto il padre".
Maggio 2005,
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I delitti della luce, di Guilio Leoni
Firenze 1300, Agosto: gli ultimi giorni da Priore di Dante
sono sconvolti da una serie di eventi incredibili. Per primo il
ritrovamento di una galea, che dal mare stava risalendo la foce
dell'Arno, il cui l'equipaggio è stato avvelenato. Nella nave, Dante
rinviene un curioso meccanismo che lo incurioscisce: sembra di origine
araba, ma non riesce ad intuirne lo scopo. Firenze è in quei giorni in
fermento, a causa dei sermoni del monaco Brindano, che invita i
fiorentini a seguirlo in una crociata, per liberare il santo sepolcro.
Altre morti seguono: in una locanda della città viene ritrovato il
cadavere di un'architetto, che stava costruendo nella periferia della
città una costruzione a pianta ottagonale, simile a Castel del Monte.
Dante inizia ad indagare sugli altri ospiti della locanda: cosa lega
quel gruppo di persone, filosofi, medici, teologi, al morto? Cosa sta
accadendo in Firenze? Leoni è stato bravo a ricreare il clima frenetico di Firenze, città sulla quale si sta allungando l'inquetante ombra di papa Bonifacio VIII: una città piagata dalla corruzione, dal vizio, contro i quali un "nervoso" Dante si batte impotente.
Nelle ultime ore, prima che il suo mandato termini, con la sua autorità e gli venga a mancare la protezione che la sua posizione di priore gli assicura, Dante scopre la verità, che richiama dal passato lo spirito dell'imperatore Federico II, morto (nel libro si ipotizza sia stato ucciso) 50 anni prima.
Un giallo nel quale prevale l'ambientazione medioevale, che restituisce un'immagine di Dante molto umana e complessa: sofferente alle tentazioni della carne (come quando incontra una ragazza che interpreta la falsa parte della Vergine di Antiochia), ma intransigente alle corruzioni che minano la virtù della città che è stato chiamato a governare. Ma ancne un fisosofo pronto a lanciarsi in dispute filosofiche sulla ricerca della verità, con uomini, come lui appartenenti alla città di Platone. Nel finale, la rivelazione del meccanismo trovato nella nave (che è stata la causa delle morti), l'ultima grande scoperta degli scienziati della corte di Federico, gli indica l'immagine da utilizzare per il terzo mondo della sua grande opera, il Paradiso della Divina Commedia.
Maggio 2005
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Nelle ultime ore, prima che il suo mandato termini, con la sua autorità e gli venga a mancare la protezione che la sua posizione di priore gli assicura, Dante scopre la verità, che richiama dal passato lo spirito dell'imperatore Federico II, morto (nel libro si ipotizza sia stato ucciso) 50 anni prima.
Un giallo nel quale prevale l'ambientazione medioevale, che restituisce un'immagine di Dante molto umana e complessa: sofferente alle tentazioni della carne (come quando incontra una ragazza che interpreta la falsa parte della Vergine di Antiochia), ma intransigente alle corruzioni che minano la virtù della città che è stato chiamato a governare. Ma ancne un fisosofo pronto a lanciarsi in dispute filosofiche sulla ricerca della verità, con uomini, come lui appartenenti alla città di Platone. Nel finale, la rivelazione del meccanismo trovato nella nave (che è stata la causa delle morti), l'ultima grande scoperta degli scienziati della corte di Federico, gli indica l'immagine da utilizzare per il terzo mondo della sua grande opera, il Paradiso della Divina Commedia.
Maggio 2005
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Perchè dollari di Marco Vichi
Quattro racconti, dall'autore del commissario Bordelli.
Perchè dollari: una storia quasi assurda, un incontro ai limiti dell'incredibile per il commissario Bordelli. In un momento per lui pieno di malinconia per le donne di cui si è innamorato, deve porsi la domanda: viene prima l'uomo p il poliziotto?
Reparto macelleria: la vittima e il carnefice. La vittima è un libraio fiorentino che, anni dopo la seconda guerra mondiale, si mette sulle tracce e ritrova l'aguzzino che lo ha torturato. A questo vuole porre una sola domanda: perchè?
Uomini normali, come lei e me. Solo che avevano scelto di vivere per il potere che per l'intelligenza. Lo hanno fatto ognuno per ragioni diverse. Per debolezze, per frustrazione, per mille altri motivi personali, tutti sufficientemente forti. Ognuno di noi può diventare così, è bene non dimenticarlo. [...] I fascisti non erano uomini diversi dagli altri, hanno solo avuto l'occasione e la vogli adi comandare su qualcuno, di diventare peggiori e non si sono tirati indietro. [...] Certo la maggior parte dei fascisti ha commesso crimini imperdonabili, ma dopo molti anni finalmente riesco a sentire una certa pena per loro, perchè non hanno saputo resistere alla parte peggiore dell'uomo. Quella che abbiamo tutti, e che può farci diventare nello stesso modo.
Il portafoglio: una sera, un impiegato, abituato a passare le sue alla stessa maniera, nello stesso grigiore, trova un portafoglio. Nel tentativo di restituirlo al proprietario, si ritrova accusato di furto e di essere un molestatore di bambine. Questa persona, abituata ad andare a letto tutte le sere alla stessa ora, si trova ingabbiato da un'accusa ingiusta. Nessuno crede alle sue giustificazioni. Al termine della vicenda, si deve chiedere chi è lui:
Se ne rendeva conto solo adesso. Non c'è nulla che possa garantirci agli occhi degli altri. Come si vedeva e si considerava lui, Barolini, non aveva nessuna importanza. Gli altri sono gli altri, hanno altri occhi, altri metri di misura, altre idee. Siamo tutti diversi. Forse la solitudine non è che questo, pensò, l'impossibilità di trovare qualcuno che ti veda con i tuoi stessi occhi.
Il tradimento: uno strano rapporto di amicizia, nato tra un finanziere in missione e uno spacciatore: il racconto termina col finanziere, costretto a tradire "l'amico", cui era riuscito a confidare i suoi segreti (un'amore lasciato a Parigi), su una spiaggia solitaria.
Dei 4 racconti i migliori sono il secondo, per il racconto che viene narrato (e che il libraio ripete a Bordelli affinchè venga tramandato) e il terzo, per il tema sollevato: la solitudine.
Maggio 2005
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Perchè dollari: una storia quasi assurda, un incontro ai limiti dell'incredibile per il commissario Bordelli. In un momento per lui pieno di malinconia per le donne di cui si è innamorato, deve porsi la domanda: viene prima l'uomo p il poliziotto?
Reparto macelleria: la vittima e il carnefice. La vittima è un libraio fiorentino che, anni dopo la seconda guerra mondiale, si mette sulle tracce e ritrova l'aguzzino che lo ha torturato. A questo vuole porre una sola domanda: perchè?
Uomini normali, come lei e me. Solo che avevano scelto di vivere per il potere che per l'intelligenza. Lo hanno fatto ognuno per ragioni diverse. Per debolezze, per frustrazione, per mille altri motivi personali, tutti sufficientemente forti. Ognuno di noi può diventare così, è bene non dimenticarlo. [...] I fascisti non erano uomini diversi dagli altri, hanno solo avuto l'occasione e la vogli adi comandare su qualcuno, di diventare peggiori e non si sono tirati indietro. [...] Certo la maggior parte dei fascisti ha commesso crimini imperdonabili, ma dopo molti anni finalmente riesco a sentire una certa pena per loro, perchè non hanno saputo resistere alla parte peggiore dell'uomo. Quella che abbiamo tutti, e che può farci diventare nello stesso modo.
Il portafoglio: una sera, un impiegato, abituato a passare le sue alla stessa maniera, nello stesso grigiore, trova un portafoglio. Nel tentativo di restituirlo al proprietario, si ritrova accusato di furto e di essere un molestatore di bambine. Questa persona, abituata ad andare a letto tutte le sere alla stessa ora, si trova ingabbiato da un'accusa ingiusta. Nessuno crede alle sue giustificazioni. Al termine della vicenda, si deve chiedere chi è lui:
Se ne rendeva conto solo adesso. Non c'è nulla che possa garantirci agli occhi degli altri. Come si vedeva e si considerava lui, Barolini, non aveva nessuna importanza. Gli altri sono gli altri, hanno altri occhi, altri metri di misura, altre idee. Siamo tutti diversi. Forse la solitudine non è che questo, pensò, l'impossibilità di trovare qualcuno che ti veda con i tuoi stessi occhi.
Il tradimento: uno strano rapporto di amicizia, nato tra un finanziere in missione e uno spacciatore: il racconto termina col finanziere, costretto a tradire "l'amico", cui era riuscito a confidare i suoi segreti (un'amore lasciato a Parigi), su una spiaggia solitaria.
Dei 4 racconti i migliori sono il secondo, per il racconto che viene narrato (e che il libraio ripete a Bordelli affinchè venga tramandato) e il terzo, per il tema sollevato: la solitudine.
Maggio 2005
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mercoledì 26 settembre 2012
Fez, struzzi & manganelli. I migliori giallisti italiani raccontano il ventennio fascista
26 storie, aventi come tema centrale l'ambientazione nel periodo fascista. Dall'avvento del fascismo nel 1922, con Giulio Leoni
(in cui si per mano di una suicida, tutta la storia poteva essre
cambiata). Fino ai giorni violenti dell'inverno 1944-45, con gli scontri
tra partigiani, brigate nere, SS. Sono racconti violenti, che
testimoniano la rabbia, la mancanza di rispetto per la vita, per gli
avversari, di chi non ha nulla da perdere. Mi riferisco a "L'unico fascista buono" di Alan D. Altieri, "A cercar la bella morte" di Ettore Maggi.
Questo forse è il miglior racconto della raccolta, perchè raccoglie in
sè, tramite i ricordi di un partigiano che ha combattutto troppe
battaglie, molti aspetti e le evoluzioni della lotta antifascista.
Dagli anni della guerra di Spagna dove si diceva "oggi in Spagna, domani in Italia",
finiti con i fascisti comunisti eliminarono le fazioni trozkiste.
Agli anni bui, in Francia, sotto la minaccia delle spie dell'OVRA, che riuscirono ad eliminare i fratelli Rosselli. Fino alla repubblica sociale:
Non tutti i racconti sono ben riusciti: lo stile del racconto breve probabilmente non si addice ad autori che hanno bisogno di più pagine per far lievitare la storia. Ma comunque tutti servono a ricreare quel clima del ventennio, le divise, il voi anzichè il lei, il gerarca intoccabile, a volte in modo più efficace delle pagine dei libri di storia.
Indice:
Introduzione (Gian Franco Orsi);
L'unico fascista buono (Alan D. Altieri);
Fortunae plango vulnera (Andrea Carlo Cappi);
Scarpette rosse (Alfredo Colitto);
Un delitto in via Panisperna (Danila Comastri Montanari);
La gabbia del canarino (Nino Filastò);
Sembrava che vi conosceste (Marcello Fois);
Scarface (Leonardo Gori);
Agro Agro Pontino (Carmen Iarrera);
La vestale (Sergio Kraisky);
Lo strummolo con la tiriteppola (Diana Lama);
Un delitto a fumetti (Ernesto G. Laura);
Fascismo = velocità + ardore (Giulio Leoni);
Ero un ragazzo prodigio (Carlo Lucarelli);
Oratorio funebre per l'assassinio del Cinno con tre voci recitanti e un morto (Loriano Macchiavelli);
A cercar la bella morte (Ettore Maggi);
Attendo istruzioni (Maurizio Matrone);
La galleria dei titani (Giancarlo Narciso);
I ragazzi del molo (Divier Nelli);
Il segreto di Karcheloko (Giancarlo Pagani);
Il sangue dei santi (Ben Pastor);
Anime amareggiate (Claudia Salvatori);
La velata (Giampaolo Simi);
Per sempre (Alda Teodorani);
Piazza della passera (Franco Valleri);
Omicidio di frontiera (Diego Zandel);
Un uomo di cultura (Giovanni Zucca).
aprile 2005
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Agli anni bui, in Francia, sotto la minaccia delle spie dell'OVRA, che riuscirono ad eliminare i fratelli Rosselli. Fino alla repubblica sociale:
"La cosa strana di questa strana repubblica di Salò è la quantità di corpi, milizie, legioni. A parte l'esercito di Graziani e le SS italiane, c'è la Decima Mas di Borghese, la Guardia Nazionale repubblicana di Ricci, le brigate nere di Pavolini, c'è la Muti a Milano, il reparto di Pietro Koch a Milano, quello di Caruso, quello di carità, che di carità ha solo il nome . Ci sono tantissime formazioni che si combattono tra di loro. C'è un'aria di disgragazione, putrefazione. Molti probabilmente sanno di andare verso il nulla e vogliono trascinare tutto verso il nulla, verso la morte. Forse è per questo che ci sono tanti simboli che richiamano la morte. E poi, ci sono i fascisti fanatici, ci sono quelli che vogliono la pacificazione, ci sono quelli che si arricchiscono e sis stanno costruendo un futuro per quando finirà la guerra, intransigenti nei comizi, ma che trattano col nemico segretamente, e ci sono anche i socializzatori. Ci sono persino socialisti come Silvestri e come Bombacci, che proprio qui a Genova ha fatto un comizio da sindacalista rivoluzionario e ha detto che soltanto Mussolini potrà fare la rivoluzione proletaria e riportare il fascismo all'ideale rivoluzionario originale. Ci sono sadici cocainomani che formano reparti di polizia, ci sono attori morbosi che assistono alle torture nelle varie Ville Tristi e si fanno fotografare con i gerarchi. Ci sono ragazzini di 17 anni che si vogliono arruolare nella Decima per salvare l'onore dell'Italia, per cancellare l'8 settembre. C'è davvero di tutto nella RSI. Repubblica Sociale sì, ma pur sempre italiana."Altri racconti preferiscono raccontare la quotidianità della vita, sotto l'ombra del fascio: "Lo strummolo con la tiriteppola" Diana Lama, "Un delitto a fumetti" Ernesto G. Laura (dove una redizione di un fumetto si inventa un delitto all'interno del gruppo in crisi per alcune tavole relative a Tarzan, sulla rivista audace).
Non tutti i racconti sono ben riusciti: lo stile del racconto breve probabilmente non si addice ad autori che hanno bisogno di più pagine per far lievitare la storia. Ma comunque tutti servono a ricreare quel clima del ventennio, le divise, il voi anzichè il lei, il gerarca intoccabile, a volte in modo più efficace delle pagine dei libri di storia.
Indice:
Introduzione (Gian Franco Orsi);
L'unico fascista buono (Alan D. Altieri);
Fortunae plango vulnera (Andrea Carlo Cappi);
Scarpette rosse (Alfredo Colitto);
Un delitto in via Panisperna (Danila Comastri Montanari);
La gabbia del canarino (Nino Filastò);
Sembrava che vi conosceste (Marcello Fois);
Scarface (Leonardo Gori);
Agro Agro Pontino (Carmen Iarrera);
La vestale (Sergio Kraisky);
Lo strummolo con la tiriteppola (Diana Lama);
Un delitto a fumetti (Ernesto G. Laura);
Fascismo = velocità + ardore (Giulio Leoni);
Ero un ragazzo prodigio (Carlo Lucarelli);
Oratorio funebre per l'assassinio del Cinno con tre voci recitanti e un morto (Loriano Macchiavelli);
A cercar la bella morte (Ettore Maggi);
Attendo istruzioni (Maurizio Matrone);
La galleria dei titani (Giancarlo Narciso);
I ragazzi del molo (Divier Nelli);
Il segreto di Karcheloko (Giancarlo Pagani);
Il sangue dei santi (Ben Pastor);
Anime amareggiate (Claudia Salvatori);
La velata (Giampaolo Simi);
Per sempre (Alda Teodorani);
Piazza della passera (Franco Valleri);
Omicidio di frontiera (Diego Zandel);
Un uomo di cultura (Giovanni Zucca).
aprile 2005
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Fatherland: i personaggi
Questi alcuni personaggi del libro "Fatherland":
Sepp Dietrich: generale delle SS, fondatore della Leibstandarte SS Adolf Hitler (I div. SS). Arrivò a comandare un'armata corazzata durante la controffensiva delle Ardenne, nell'inverno del 44. Condannato per crimini di guerra, anche per l'episodio del massacro di Malmedy (82 prigionieri alleati uccisi), fu condannato a morte. Graziato, morì nel 1966. (Wikipedia)
Odilo Globocnick: ufficiale SS, nel 1939 fu responsabile SS del distretto di Lublino. Nel 1941 collaborò alla costruzione dei lager di Belzec, Sobibor, Treblinka (1942). Fu responsabile della morte di 1.5 milioni di ebrei polacchi, austriaci, tedeschi, cechi, russi durante l'operazione "Reinhard", l'operazione di pulizia dagli ebrei chiamata così in onore di Heydrich. Catturato nel 1954 da una pattuglia britannica, si suicidò. (Wikipedia)
Reinhard Heydrich: capo del RSHA delle SS, ufficio centrale della sicurezza del reich, da cui dipendeva la Gestapo (la polizia segreta), comandata da Muller, la Sipo (controspionaggio) e la Kripo (la polizia criminale) comandata da Nebe. Ferito da partigiani Cecoslovacchi in un attentato, morì nel 1942. Fu sostituito da Ernst Kaltenbrunner.
Artur Niebe: capo della Kripo (dipartimento di polizia criminale delle SS, all'interno dell'RSHA ufficio centrale per la sicurezza del reich ) nel 1936. Incriminato per l'attentato a Hitler del 20 luglio 1944, fu giustiziato il 21 marzo 1945. (Wikipedia)
Heirich Himmler: Reichsführer delle SS, di cui prese la guida nel 1929, di cui ne rafforzò la struttura, fino a farle diventare uno stato nello stato. Si suicidò, dopo la cattura da parte degli alleati, nel maggio 1945. (Wikipedia)
Adolf Eichmann: capo della sezione ebraica del dipartimento della Gestapo di Berlino. Pianificò la “soluzione finale”. Riusci a fuggire dalla Germania grazie all'organizzazione Odessa, e fuggire in Argentina. Fu qui scovato da Wiesenthal, nel 1960, e giustiziato dagli israeliani nel 1962.
Ufficio Centrale per l'economia (WVHA): le SS erano divise in diversi uffici centrali, tra cui l'ufficio per la sicurezza, RSHA (da cui dipendevano Gespapo e SD) e l'ufficio per l'economia, comandato da Oswald Pohl. A sua volta questo ufficio era diviso in 4 sezioni:
Sepp Dietrich: generale delle SS, fondatore della Leibstandarte SS Adolf Hitler (I div. SS). Arrivò a comandare un'armata corazzata durante la controffensiva delle Ardenne, nell'inverno del 44. Condannato per crimini di guerra, anche per l'episodio del massacro di Malmedy (82 prigionieri alleati uccisi), fu condannato a morte. Graziato, morì nel 1966. (Wikipedia)
Odilo Globocnick: ufficiale SS, nel 1939 fu responsabile SS del distretto di Lublino. Nel 1941 collaborò alla costruzione dei lager di Belzec, Sobibor, Treblinka (1942). Fu responsabile della morte di 1.5 milioni di ebrei polacchi, austriaci, tedeschi, cechi, russi durante l'operazione "Reinhard", l'operazione di pulizia dagli ebrei chiamata così in onore di Heydrich. Catturato nel 1954 da una pattuglia britannica, si suicidò. (Wikipedia)
Reinhard Heydrich: capo del RSHA delle SS, ufficio centrale della sicurezza del reich, da cui dipendeva la Gestapo (la polizia segreta), comandata da Muller, la Sipo (controspionaggio) e la Kripo (la polizia criminale) comandata da Nebe. Ferito da partigiani Cecoslovacchi in un attentato, morì nel 1942. Fu sostituito da Ernst Kaltenbrunner.
Artur Niebe: capo della Kripo (dipartimento di polizia criminale delle SS, all'interno dell'RSHA ufficio centrale per la sicurezza del reich ) nel 1936. Incriminato per l'attentato a Hitler del 20 luglio 1944, fu giustiziato il 21 marzo 1945. (Wikipedia)
Heirich Himmler: Reichsführer delle SS, di cui prese la guida nel 1929, di cui ne rafforzò la struttura, fino a farle diventare uno stato nello stato. Si suicidò, dopo la cattura da parte degli alleati, nel maggio 1945. (Wikipedia)
Adolf Eichmann: capo della sezione ebraica del dipartimento della Gestapo di Berlino. Pianificò la “soluzione finale”. Riusci a fuggire dalla Germania grazie all'organizzazione Odessa, e fuggire in Argentina. Fu qui scovato da Wiesenthal, nel 1960, e giustiziato dagli israeliani nel 1962.
Ufficio Centrale per l'economia (WVHA): le SS erano divise in diversi uffici centrali, tra cui l'ufficio per la sicurezza, RSHA (da cui dipendevano Gespapo e SD) e l'ufficio per l'economia, comandato da Oswald Pohl. A sua volta questo ufficio era diviso in 4 sezioni:
- Amtgruppe D: si occupava dei campi di concentramento. Comandato dal generale Glucks.
- Amtgruppe W: ecomonia.
- Amtgruppe B: forniture
- Amtgruppe A: finanzia e giustizia
Fatherland di Rober Harris
Berlino 1964: l'impero nazista domina l'Europa.
Rimangono solo delle sacche di resistenza russa, che combattono sulla
linea dei Monti Urali. L'esercito tedesco ha sconfitto, nell'estate del
1942, l'armata rossa, ha costretto alla resa l'impero britannico
(riconvertendo i propri codici in modo che non venissero deriptati da
Ultra) e bloccando gli americani col lancio di un'atomica su New York.
La società tedesca è formata da famiglie in divisa, dove sotto uno
strato superficiale di consenso, si nascondono vizi, brutalità di un
regime che si regge con la repressione, corruzione dei funzionari. In
questo mondo l'ispettore della Kripo (la polizia criminale delle SS) Xavier March
è costretto ad indagare sulla morte di un alto funzionario del regime
nazista.
Sono giorni convulsi a Berlino: tra poco verrà festeggiato il Furhertag, il 20 aprile, per i 75 anni di Hitler. Inoltre sempre in quei giorni il presidente degli Stati Uniti, Kennedy, sarà in visita in Germania, per stabilire un clima di distensione, di pace, dopo gli anni di “guerra fredda” dopo la 2 guerra mondiale. March non è un nazista convinto un “asociale”, separato dalla moglie e odiato dal figlio, che ora riversano il loro amore per un uomo del partito, “un fanatico della peggior specie, un burocrate della sede centrale berlinese del partito”. Tutta la società tedesca è ora in divisa, composta da appartenenti alle associazioni del partito.
La ex famiglia di March non fa eccezione: “March continuò a pensare al cane e si rese conto che in quella casa era l'unico essere vivente che non portasse l'uniforme”. Anche la città di Berlino testimonia la grandezza del nazismo: dopo la guerra sono stati costruiti molti monumenti, l'Arco di Trionfo, il Viale della Vittoria “più alto, più lungo, più grande, più ampio, più costoso .. Anche nella vittoria, pensò March, la Germania conservava un complesso di inferiorità”.
Altre morti, di gerarchi nazisti, seguono: dopo Buhler, Stuckart, ex segretario di stato del ministro degli interni. Il cadavere è scoperto da una giornalista americana, che doveva intervistarlo: critica nei confronti dell'amministrazione Kennedy, che è in visita in Germania per rastrellare voti, per le elezioni di novembre. Critica anche nei confronti del nazismo
Per questo i documenti non portano la firma del fuhrer e ora devono sparire, come le persone che ne sono a conoscenza, per favorire il clima di distensione e per mettere a tacere le voci per cui
Thriller fantapolitico, costruito da Harris con grande cura nella ricostruzione della società tedesca; anche i documenti citati sono veri (purtroppo), come i personaggi legati al convegno di Wansee. Il tema centrale è la negazione della verità storica in una Germania diventata “uno stato di polizia è un paese governato da criminali”, come recita una scritta dentro una prigione della Gestapo. Una Germania che crede alle simulazioni trasformare la verità. Harris cita una frase di una SS riportata da Primo Levi per cui i nazisti avrebbero comunque vinto la guerra contro gli ebrei perchè nessuno avrebbe creduto all'enormità dei loro delitti. Forse avrebbe potutto accadere veramente (e questo libro apparirebbe ora meno fantascientifico): Wiesenthal, nel libro “Giustizia, non vendetta”, afferma che fu solo dopo il processo ad Eichmann (anche lui presente a Wansee) che non fu più possibile negare l'olocausto. Fu Eichmann , nel 1962, con la sua deposizione a sbugiardare la voce che voleva gli stermini di Aushwitz una menzogna.
Aprile 2005
Il link su ibs
Sono giorni convulsi a Berlino: tra poco verrà festeggiato il Furhertag, il 20 aprile, per i 75 anni di Hitler. Inoltre sempre in quei giorni il presidente degli Stati Uniti, Kennedy, sarà in visita in Germania, per stabilire un clima di distensione, di pace, dopo gli anni di “guerra fredda” dopo la 2 guerra mondiale. March non è un nazista convinto un “asociale”, separato dalla moglie e odiato dal figlio, che ora riversano il loro amore per un uomo del partito, “un fanatico della peggior specie, un burocrate della sede centrale berlinese del partito”. Tutta la società tedesca è ora in divisa, composta da appartenenti alle associazioni del partito.
La ex famiglia di March non fa eccezione: “March continuò a pensare al cane e si rese conto che in quella casa era l'unico essere vivente che non portasse l'uniforme”. Anche la città di Berlino testimonia la grandezza del nazismo: dopo la guerra sono stati costruiti molti monumenti, l'Arco di Trionfo, il Viale della Vittoria “più alto, più lungo, più grande, più ampio, più costoso .. Anche nella vittoria, pensò March, la Germania conservava un complesso di inferiorità”.
Altre morti, di gerarchi nazisti, seguono: dopo Buhler, Stuckart, ex segretario di stato del ministro degli interni. Il cadavere è scoperto da una giornalista americana, che doveva intervistarlo: critica nei confronti dell'amministrazione Kennedy, che è in visita in Germania per rastrellare voti, per le elezioni di novembre. Critica anche nei confronti del nazismo
“Le migliaia di dissidenti che voi rinchiudete nei campi. I milioni di ebrei spariti durante la guerra. Le torture. Gli omicidi. Mi dispiace parlarne, ma noi abbiamo l'idea borghese che gli esseri umani abbiano dei diritti. Lei dov'è stato negli ultimi anni?”.Qualcosa scatta nella mente di March: lui, come tutta la popolazione civile, non vuole sapere che fine hanno fatto gli ebrei, che vivevano nella porta accanto, nello stesso quartiere e che, ad un certo punto, sono stati traferiti ad est. Per non fare più ritorno. Con l'aiuto di Charlie, la giornalista, scopre che i tre, Buhler, Stuckart e Luther (un altro gerarca, scomparso poco prima della morte dei primi) erano gli unici superstiti degli undici partecipanti al famoso convegno del Wannsee (gennaio 1942) in cui si era decisa la "soluzione finale" della questione ebraica. Luther aveva depositato in una cassetta di sicurezza i documenti che provavano l'esistenza della “soluzione finale”. Perchè? Se la Germania avesse perso la guerra, sarebbero stati processati come criminali; e se la Germania avesse vinto, forse un giorno sarebbero stati usati come capri espiatori del più grave genocidio della storia.
Per questo i documenti non portano la firma del fuhrer e ora devono sparire, come le persone che ne sono a conoscenza, per favorire il clima di distensione e per mettere a tacere le voci per cui
“i tedeschi hanno rastrellato tutta l'Europa per scovare tutti gli ebrei ... si parla di fosse comuni, di esperimenti medici, di campi dove la gente entrava e non usciva più. Parlano di milioni di morti. Ma poi arriva l'ambasciatore tedesco e racconta che si tratta solo di propaganda comunista.”Endlosung: soluzione finale. La parola martellava nella mente di March. Che riesce alla fine a scovare i documenti: testimoniano, col lessico della burocrazia, la pianificazione dello sterminio, nei modi, nei mezzi e nei tempi
“gli ebrei dovranno essere portati, sotto una direzione appropriata e in modo appropriato, all'est .. l'elemento più resistente dovrà essere trattato in modo appropriato .. ”le parole adatte per evitare le precisazioni spiacevoli. Il libro termina con March che, come un eroe solitario, si fa uccidere per permettere alla giornalista di fuggire e salvarsi. L'autore lascia in sospeso la storia generale: riuscirà Kennedy ad essere rieletto ?, Hitler a mantenere il governo ?
Thriller fantapolitico, costruito da Harris con grande cura nella ricostruzione della società tedesca; anche i documenti citati sono veri (purtroppo), come i personaggi legati al convegno di Wansee. Il tema centrale è la negazione della verità storica in una Germania diventata “uno stato di polizia è un paese governato da criminali”, come recita una scritta dentro una prigione della Gestapo. Una Germania che crede alle simulazioni trasformare la verità. Harris cita una frase di una SS riportata da Primo Levi per cui i nazisti avrebbero comunque vinto la guerra contro gli ebrei perchè nessuno avrebbe creduto all'enormità dei loro delitti. Forse avrebbe potutto accadere veramente (e questo libro apparirebbe ora meno fantascientifico): Wiesenthal, nel libro “Giustizia, non vendetta”, afferma che fu solo dopo il processo ad Eichmann (anche lui presente a Wansee) che non fu più possibile negare l'olocausto. Fu Eichmann , nel 1962, con la sua deposizione a sbugiardare la voce che voleva gli stermini di Aushwitz una menzogna.
In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l'abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimmarrà per poter portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perchè noi distruggeremo le prove insieme a voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei lager, saremo noi a dettarla.Ufficiale SS, citato in "I sommersi e i salvati" di Primo Levi.
Aprile 2005
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La loggia degli innocenti Michele Giuttari
Secondo libro di Michele Giuttari: avevo apprezzato
il precedente ("Scarabeo") per le descrizioni degli ambienti della
questura, il clima delle indagini. Meno per la storia in sè: soprattutto
il finale, come se fosse stato scritto troppo in fretta.
"La loggia degli Innocenti" inizia col ritrovamento del cadavere di una ragazzina, cui la polizia non riesce a stabilire l'identità. Mentre tutti classificano frettolosamente la morta come "giovane prostituta", morta per overdose, solo il commissario Ferrara, capo della squadra mobile di Firenze, si ostina a voler scoprire come è morta. Scopre che, forse, il primo medico che l'ha presa in cura, non ha compiuto in modo corretto gli esami per stabilire se la ragazza (che viene temporaneamente ribattezzata Stella) fosse stata drogata. Ma l'indagine sul versante medico viene bloccata dall'alto.
Contemporaneamente l'amico libraio, Massimo Verga, scompare, assieme alla moglie di un industriale Simonetta Tonelli, di cui era l'amante. Massimo Verga è accusato della morte del marito, Ugo Palladiani, trovato morto dai carabinieri nella propria casa in Versilia. Ferrara dopo uno scontro col capitano dei cc, che seguono la pista del delitto passionale, è costretto a prendersi una vacanza per poter indagare in proprio. Solo dopo la morte di una giornalista, che stava seguendo anch'essa il delitto della Versilia, Ferrara inizia ad intuire la verità. In Toscana è in atto l'infiltrazione di cosche mafiose, che si occupano del traffico della droga, che adoperano le cave di marmo (di cui Simonetta Tonelli era proprietaria) come base per lo smercio.
Un buon libro, meglio del precedente, con una storia ben strutturata, ma siamo ben al sotto della definizione "un romanzo che consacra definitivamente Giuttari come uno dei maestri del thriller italiano".
Quali sono gli aspetti meno riusciti? Prima di tutto il libro è troppo incentrato sulla figura di Michele Ferrara: tutti gli altri personaggi fanno la figura di comparse. Giuttari avrebbe dovuto dosare meglio il peso delle persone: in questura vale il gioco di squadra, perchè non dare più luce ai vari Serpico, Rizzo ecc.?
Secondo: la descrizione dell'ambiente nel quale si svolge il giallo: di Firenze l'unico aspetto che emerge è l'afa estiva. Un pò poco. Impari da altri giallisti: da Colaprico, Machiavelli, Lucarelli, Camilleri, fino ad arrivare all'estremo di Biondillo, la cui descrizione dei quartieri di Milano e dei suoi personaggi, quesi mette in ombra la storia investigativa.
Infine, Ferrara stesso: troppo poco riflessivo. Mancano i suoi pensieri, le sue debolezze, le sue passioni (oltre a quella del sigaro). Ci vorrebbe un pò dell'autoironia dei personaggi di Lucarelli (penso al sovrintendente Coliandro) o Machiavelli (il sergente Sarti), le riflessioni di Montalbano (penso all'inizio de "Il giro di Boa", con la rabbia per le notizie del G8) e le sue debolezze (il cibo, il suo sentirsi un Dio in terra, magari di quart'ordine).
Da un poliziotto come Giuttari, con la sua esperienza, possiamo e dobbiamo aspettarci di meglio.
Aprile 2005
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"La loggia degli Innocenti" inizia col ritrovamento del cadavere di una ragazzina, cui la polizia non riesce a stabilire l'identità. Mentre tutti classificano frettolosamente la morta come "giovane prostituta", morta per overdose, solo il commissario Ferrara, capo della squadra mobile di Firenze, si ostina a voler scoprire come è morta. Scopre che, forse, il primo medico che l'ha presa in cura, non ha compiuto in modo corretto gli esami per stabilire se la ragazza (che viene temporaneamente ribattezzata Stella) fosse stata drogata. Ma l'indagine sul versante medico viene bloccata dall'alto.
Contemporaneamente l'amico libraio, Massimo Verga, scompare, assieme alla moglie di un industriale Simonetta Tonelli, di cui era l'amante. Massimo Verga è accusato della morte del marito, Ugo Palladiani, trovato morto dai carabinieri nella propria casa in Versilia. Ferrara dopo uno scontro col capitano dei cc, che seguono la pista del delitto passionale, è costretto a prendersi una vacanza per poter indagare in proprio. Solo dopo la morte di una giornalista, che stava seguendo anch'essa il delitto della Versilia, Ferrara inizia ad intuire la verità. In Toscana è in atto l'infiltrazione di cosche mafiose, che si occupano del traffico della droga, che adoperano le cave di marmo (di cui Simonetta Tonelli era proprietaria) come base per lo smercio.
Un buon libro, meglio del precedente, con una storia ben strutturata, ma siamo ben al sotto della definizione "un romanzo che consacra definitivamente Giuttari come uno dei maestri del thriller italiano".
Quali sono gli aspetti meno riusciti? Prima di tutto il libro è troppo incentrato sulla figura di Michele Ferrara: tutti gli altri personaggi fanno la figura di comparse. Giuttari avrebbe dovuto dosare meglio il peso delle persone: in questura vale il gioco di squadra, perchè non dare più luce ai vari Serpico, Rizzo ecc.?
Secondo: la descrizione dell'ambiente nel quale si svolge il giallo: di Firenze l'unico aspetto che emerge è l'afa estiva. Un pò poco. Impari da altri giallisti: da Colaprico, Machiavelli, Lucarelli, Camilleri, fino ad arrivare all'estremo di Biondillo, la cui descrizione dei quartieri di Milano e dei suoi personaggi, quesi mette in ombra la storia investigativa.
Infine, Ferrara stesso: troppo poco riflessivo. Mancano i suoi pensieri, le sue debolezze, le sue passioni (oltre a quella del sigaro). Ci vorrebbe un pò dell'autoironia dei personaggi di Lucarelli (penso al sovrintendente Coliandro) o Machiavelli (il sergente Sarti), le riflessioni di Montalbano (penso all'inizio de "Il giro di Boa", con la rabbia per le notizie del G8) e le sue debolezze (il cibo, il suo sentirsi un Dio in terra, magari di quart'ordine).
Da un poliziotto come Giuttari, con la sua esperienza, possiamo e dobbiamo aspettarci di meglio.
Aprile 2005
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In cerca di una patria di Alfio Caruso
La guerra del nostro esercito, durante la seconda guerra mondiale, dal 8 settembre 1943 fino al maggio 1945. Una guerra dimenticata:
se le battaglie compiute a fianco dell'alleato germanico vengono
ricordate a malapena, quasi con vergogna, questo è prorio un capitolo
assente dai libri di storia. Alfio Caruso si
da il compito di riportare a galla questa pagina, come già avvenuto per
la storia del massacro della divisione Acqui a Cefalonia, raccontato
nel libro “Italiani, dovete morire!”. O come la storia della ritirata
degli alpini in Russia, quando accerchiati, feriti, dovettero combattere
per spezzare l'accerchiamento delle truppe corazzate russe, nel libro
“Tutti i vivi all'assalto”. Nel suo precedente libro, “Arrivano i
nostri”, aveva svelato i retroscena dello sbarco alleato in Sicilia, nel
1943, le complicità tra mafia, massoni, doppiogiochisti della marina
italiana per abbattere il fascismo in Sicilia e preparare il terreno
agli alleati.
In questo libro si parla di quanti, l'8 settembre 1943, dovettero porsi la domanda: da che parte stare? Cosa faccio? Alla notizia dell'armistizio, con il re, Badoglio, la corte i più alti gradi dell'esercito in fuga, le nostre forze militari si trovarono impreparate a fronteggiare la reazione dei tedeschi. Molti scappano, qualcuno sceglie di andare dalla parte dei tedeschi, ma molti decidono di impugnare le armi contro quello che fino a ieri è nostro nemico. Occorre riscrivere la storia, sollevare dal fango lonore della patria (una patria né monarchica né repubblicana, ma solo una patria in cui ritrovarsi). Il prezzo pagato per questa scelta è stato alto: 86000 morti, dei quali 25000 nel solo mese di settembre, il settembre nero dell'esercito italiano.
Morirono sui campi di battaglia e nei lager tedeschi: ma di loro non se ne parla mai.
La tesi sostenuta dall'autore è che al termina della guerra fu stipulato un compromesso “l'Italia che si appoggiava agli Stati Uniti lasciò alla Sinistra il monopolio e i meriti della resistenza; di converso, l'Italia che si appoggiava all'URSS consentì che la borghesia e i moderati, spesso cementati dalla comune appartenenza alle rinate logge massoniche, assolvessero, in certi casi senza nemmeno processarli, i principali responsabili dell'8 settembre (Badoglio, Ambrosio, Roatta cui si permette di fuggire, Carboni, Vittorio Emanuele III, Umberto ) e della Repubblica sociale (Graziani Anfuso Borghese).”
E così oggi, nessuno conosce le gesta del militari del CIL (Corpo Italiano di Liberazione), composto da ragazzi che avevano già combattuto nelle steppe o nel deserto africano; molti erano stati convinti fascisti, ma lo sfacelo di quei giorni gli fa aprire gli occhi. Il CIL fu composto da unità provenienti da alpini, bersaglieri, fanti, artiglieri, i parà della Nembo, e combatte, all'interno delle forze alleate, una volta sotto il controllo con la V armata (USA, comandata dal generale Clark), a volte sotto la VIII armata (inglese, gen Leese), a fianco di inglesi, polacchi, canadesi e neozelandesi. Il libro alterna alle vicende belliche (Monte Lungo, Monte Marrone, Filotrattano, Ostra), le vicende e la presa di coscienza di 15 giovani militari, che l'armistizio coglie nelle varie parti dell'Europa dove le armate italiane erano dislocate, Grecia, Jugoslavia, Albania e Italia. I nostri militari furono inizialmente usati per compiti di controllo o di fatica (riparazione di strade, ponti), poi subirono il battesimo di fuoco a Monte Lungo (8/12/1943). Dovevano vincere le diffidenze degli alleati che non si fidavano di loro: ma anche in condizioni così difficili molti riuscirono a farsi onore, a guadagnarsi la stima degli angloamericani e ribaltare l'immagine dell'italiano cattivo combattente. Come i militari della Folgore, che si erano già fatti conoscere ad El Alamein “un nome rispettato e ammirato anche dagli stessi inglesi, un nome portato già da Gay e dai suoi commandos al servizio dell'antifascismo e che nel dopoguerra soltanto l'imbecillità della sinistra potrà regalare al fascismo. ”
La nostra repubblica passa anche per il loro sacrificio, ed è giusto ricordarli. Assieme ai morti partigiani. Preferirei, ma è una mia provocazione, festeggiare la data dell'8 settembre, anziché il 25 aprile. Il 25 aprile segna la fine di una lotta: ma è nell'8 settembre che si prendono le scelte: il re, la sua corte, i generali (molti dei quali beneficiati dal fascismo stesso) decide di scappare. Altri, anche i nostri uomini in divisa, scelsero di mettere in gioco la propria vita, per riscattare la nostra libertà.
Aprile 2005
Il ilnk su ibs
In questo libro si parla di quanti, l'8 settembre 1943, dovettero porsi la domanda: da che parte stare? Cosa faccio? Alla notizia dell'armistizio, con il re, Badoglio, la corte i più alti gradi dell'esercito in fuga, le nostre forze militari si trovarono impreparate a fronteggiare la reazione dei tedeschi. Molti scappano, qualcuno sceglie di andare dalla parte dei tedeschi, ma molti decidono di impugnare le armi contro quello che fino a ieri è nostro nemico. Occorre riscrivere la storia, sollevare dal fango lonore della patria (una patria né monarchica né repubblicana, ma solo una patria in cui ritrovarsi). Il prezzo pagato per questa scelta è stato alto: 86000 morti, dei quali 25000 nel solo mese di settembre, il settembre nero dell'esercito italiano.
Morirono sui campi di battaglia e nei lager tedeschi: ma di loro non se ne parla mai.
La tesi sostenuta dall'autore è che al termina della guerra fu stipulato un compromesso “l'Italia che si appoggiava agli Stati Uniti lasciò alla Sinistra il monopolio e i meriti della resistenza; di converso, l'Italia che si appoggiava all'URSS consentì che la borghesia e i moderati, spesso cementati dalla comune appartenenza alle rinate logge massoniche, assolvessero, in certi casi senza nemmeno processarli, i principali responsabili dell'8 settembre (Badoglio, Ambrosio, Roatta cui si permette di fuggire, Carboni, Vittorio Emanuele III, Umberto ) e della Repubblica sociale (Graziani Anfuso Borghese).”
E così oggi, nessuno conosce le gesta del militari del CIL (Corpo Italiano di Liberazione), composto da ragazzi che avevano già combattuto nelle steppe o nel deserto africano; molti erano stati convinti fascisti, ma lo sfacelo di quei giorni gli fa aprire gli occhi. Il CIL fu composto da unità provenienti da alpini, bersaglieri, fanti, artiglieri, i parà della Nembo, e combatte, all'interno delle forze alleate, una volta sotto il controllo con la V armata (USA, comandata dal generale Clark), a volte sotto la VIII armata (inglese, gen Leese), a fianco di inglesi, polacchi, canadesi e neozelandesi. Il libro alterna alle vicende belliche (Monte Lungo, Monte Marrone, Filotrattano, Ostra), le vicende e la presa di coscienza di 15 giovani militari, che l'armistizio coglie nelle varie parti dell'Europa dove le armate italiane erano dislocate, Grecia, Jugoslavia, Albania e Italia. I nostri militari furono inizialmente usati per compiti di controllo o di fatica (riparazione di strade, ponti), poi subirono il battesimo di fuoco a Monte Lungo (8/12/1943). Dovevano vincere le diffidenze degli alleati che non si fidavano di loro: ma anche in condizioni così difficili molti riuscirono a farsi onore, a guadagnarsi la stima degli angloamericani e ribaltare l'immagine dell'italiano cattivo combattente. Come i militari della Folgore, che si erano già fatti conoscere ad El Alamein “un nome rispettato e ammirato anche dagli stessi inglesi, un nome portato già da Gay e dai suoi commandos al servizio dell'antifascismo e che nel dopoguerra soltanto l'imbecillità della sinistra potrà regalare al fascismo. ”
La nostra repubblica passa anche per il loro sacrificio, ed è giusto ricordarli. Assieme ai morti partigiani. Preferirei, ma è una mia provocazione, festeggiare la data dell'8 settembre, anziché il 25 aprile. Il 25 aprile segna la fine di una lotta: ma è nell'8 settembre che si prendono le scelte: il re, la sua corte, i generali (molti dei quali beneficiati dal fascismo stesso) decide di scappare. Altri, anche i nostri uomini in divisa, scelsero di mettere in gioco la propria vita, per riscattare la nostra libertà.
Aprile 2005
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L'impero dei draghi - Valerio Massimo Manfredi
Un libro che ha come tema centrale l'incontro tra due culture: quella
romana, della roma tardo imperiale, e quella cinese, il regno dei
draghi. Di questo incontro non esistono prove certe, come afferma
Manfredi in una note a fine libro, ma sono ipotesi provate da documenti
in mano a storici.
La storia inizia con l'assedio di Edessa, nel 260 d.c.: le truppe di Shapur I, re di Persia, costringono l'imperatore romano e la sua scorta, a negoziare la resa. Ma l'incontro è un tranello: l'imperatore Valeriano, il suo ufficiale di scorta, Metello e altri 9 legionari, vengono catturati e rinchiusi in una miniera da cui nessuno è riuscito a fuggire: marciranno ai lavori forzati come miserabili malfattori. L'imperatore muore di stenti e Metello giura di riportarne le ceneri in patria: riescono a fuggire e a rifugiarsi in un'oasi, dove incontrano un commerciante di seta, Daruma. Questi li convince di diventare la scorta di un principe cinese, braccato come loro dai persiani, fino al paese chiamato Sera Marior: il regno cinese.
“Venendo con me – continuò Daruma – vedrete cose che nemmeno immaginate che possano esistere, conoscerete un mondo che nessun altro della vostra terra ha mai visto e vedrà mai.”
Questa è la parte migliore del libro: i romani attraverso le foreste dell’India, le montagne dell’Himalaya, i deserti dell’Asia centrale fino a raggiungere la sede di una civiltà dalla cultura antica e meravigliosa. Qui Metello scopre che la persona che hanno scortato è un principe di un regno cinese, che è stato usurpato del suo potere. Durante il viaggio lo ha incuriosito parlandogli della sua cultura: questa si basa sul potere della mente e che si rafforza con la meditazione. La forza dei romani sta nella “virtus”: “Significa forza virile, ma è difficile spiegarne veramente l'essenza. È la forza che ci spinge a dare la vita per la nostra famigliae la nostra patria, se necessario, senza sperare in nulla se non nel ricordo che rimarrà del nostro onore”.
In Cina, nel regno del nord, Metello aiuterà il principe Dan Quing a sconfiggere il feroce rivale, facendosi aiutare gli spettri di un'armata scomparsa secoli prima, nella battaglia decisiva.
Il libro si svolge attorno alla figura del comandante Metello. Esso incarna tutti i valori dell'eroe, come in altri libri di Manfredi: il senso dell'onore, dell'amicizia, della fedeltà alla parola data e ai propri valori, il rispetto degli altri popoli che incontra. Nel suo straordinario viaggio si trova trascinato in un mondo nuovo, avvolto da una natura sconosciuta, misteriosa, ma che lo affascina: dai venti monsonici, alle alture dell’Himalaya, il cui superamento costituisce una severa prova per i romani, fino al regno dei draghi, in cui tutto è una scoperta. Le costruzioni, le tecniche di combattimento fino ai frutti di questa terra: dalle arance ai melograni, fino al grano di palude (il riso). Forse il finale può risultare un po' scontato, ma in generale è una lettura interessante, scorrevole, nel quale lo spirito trascinante dell'avventura non abbandona mai il lettore.
aprile 2005
Il link su amazon
La storia inizia con l'assedio di Edessa, nel 260 d.c.: le truppe di Shapur I, re di Persia, costringono l'imperatore romano e la sua scorta, a negoziare la resa. Ma l'incontro è un tranello: l'imperatore Valeriano, il suo ufficiale di scorta, Metello e altri 9 legionari, vengono catturati e rinchiusi in una miniera da cui nessuno è riuscito a fuggire: marciranno ai lavori forzati come miserabili malfattori. L'imperatore muore di stenti e Metello giura di riportarne le ceneri in patria: riescono a fuggire e a rifugiarsi in un'oasi, dove incontrano un commerciante di seta, Daruma. Questi li convince di diventare la scorta di un principe cinese, braccato come loro dai persiani, fino al paese chiamato Sera Marior: il regno cinese.
“Venendo con me – continuò Daruma – vedrete cose che nemmeno immaginate che possano esistere, conoscerete un mondo che nessun altro della vostra terra ha mai visto e vedrà mai.”
Questa è la parte migliore del libro: i romani attraverso le foreste dell’India, le montagne dell’Himalaya, i deserti dell’Asia centrale fino a raggiungere la sede di una civiltà dalla cultura antica e meravigliosa. Qui Metello scopre che la persona che hanno scortato è un principe di un regno cinese, che è stato usurpato del suo potere. Durante il viaggio lo ha incuriosito parlandogli della sua cultura: questa si basa sul potere della mente e che si rafforza con la meditazione. La forza dei romani sta nella “virtus”: “Significa forza virile, ma è difficile spiegarne veramente l'essenza. È la forza che ci spinge a dare la vita per la nostra famigliae la nostra patria, se necessario, senza sperare in nulla se non nel ricordo che rimarrà del nostro onore”.
In Cina, nel regno del nord, Metello aiuterà il principe Dan Quing a sconfiggere il feroce rivale, facendosi aiutare gli spettri di un'armata scomparsa secoli prima, nella battaglia decisiva.
Il libro si svolge attorno alla figura del comandante Metello. Esso incarna tutti i valori dell'eroe, come in altri libri di Manfredi: il senso dell'onore, dell'amicizia, della fedeltà alla parola data e ai propri valori, il rispetto degli altri popoli che incontra. Nel suo straordinario viaggio si trova trascinato in un mondo nuovo, avvolto da una natura sconosciuta, misteriosa, ma che lo affascina: dai venti monsonici, alle alture dell’Himalaya, il cui superamento costituisce una severa prova per i romani, fino al regno dei draghi, in cui tutto è una scoperta. Le costruzioni, le tecniche di combattimento fino ai frutti di questa terra: dalle arance ai melograni, fino al grano di palude (il riso). Forse il finale può risultare un po' scontato, ma in generale è una lettura interessante, scorrevole, nel quale lo spirito trascinante dell'avventura non abbandona mai il lettore.
aprile 2005
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Privo di titolo di Andrea Camilleri
I precedenti libri di Camilleri, ambientati nel passato, non mi erano piaciuti molto: "La presa di Macallè"
mi era parso scritto troppo di impulso, con troppa violenza, quasi un
pugno nello stomaco. La stessa violenza della "cultura" fascista su
quelle generazioni (di cui Camilleri fa parte).
La storia raccontata ne "Il re di Girgenti" invece non mi aveva appassionato, troppo lunga e priva di quel houmor graffiante (contro la mafia, contro la burocrazia dello stato piemontese) che caratterizza quei capolavori come "Il birraio di Preston" e "La concessione del telefono". "Privo di titolo" riprende quello stile: ironico, pungente: deride il fascismo siciliano mettendone in ridicolo tutti gli aspetti coreografici, pomposi che lo caratterizzano. Il culto dei "martiri", le cerimonie con i labari, camicie nere e bandiere, i discorsi roboanti dove si tira in ballo la patria, l'onore, l'antibolscevimo .. Il capo della sezione fascista del paese che, durante i giorni della marcia su Roma, se la spassa a Taormina. ..
"Privo di titolo" è la storia di un imbroglio: come da un omicidio per rissa, si arrivi a costruire l'immagine del (primo e unico) martire fascista, ucciso il 24 aprile 1921, "assassinato da mano bolscevica". Il realtà Gigino Gattuso, che viene citato col suo vero nome solo nel primo capitolo che fa da introduzione, morì ucciso da un suo compagno fascista durante una rissa, contro un militante comunista.
La vicenda viene raccoltata come se fosse una rappresentazione scenografica teatrale: prima l'introduzione dei personaggi, descritti col solito stile cinico e impietoso (lo studente che fa la bella vita, il nipotastro della ricca nonna ...). Poi la storia dell'agguato, che viene raccontata tramite fermi immagine, una trovata inedita in Camilleri, dove l'io narrante analizza i dettagli della scena perchè avranno una grande importanza nell'indagine.
Segue l'indagine, portata avanti sia dalla squadra politica della Questura, che prende subito la direzione dell'omicidio politico, sia dai carabinieri che, non convinti da alcuni dettagli, cercano di capire la verità. Dal dialogo tra il mareschiallo del paese e il tenete mandato a conurre le indagini:
Alle parti di narrazione si alternano documenti, verbali (delle interrogazioni), testimonianze, secondo lo stile già usato ne "La scomparsa di Patò". Fino alla sentenza finale dell'omicidio: che scagiona il comunista e lo lascia libero. I fascisti locali capiscono che non è più il tempo delle manganellate dell'olio di ricino (siamo nel 1924, poco dopo l'omicidio Matteotti).
"Tu - continuò Mancuso - fatti dare una copia della sentenza e portatela a Roma. E non ti devi limitare, parlando con Giacomino (il capo di gabinetto del ministero degli interni), al nostro caso particolare. Gli devi far presente il grosso rischio che rappresenta una magistratura che non si vuole allineare. Di un magistrato che non sia fascista non si può fidare".
Quanto sembrano attuali queste parole, sembra di averle già sentite.
Contemporaneamente, per omaggiare la discesa di Mussolini in Sicilia, nel 1924, a Caltagirone, il calatino Giacomo Barone, capo di gabinetto del ministero degli interni, decide di costruire una città e di chiamarla Mussolinia. Alla posa della prima pietra (prima pietra per modo di dire, poichè la costruzione delle casi era già iniziata) Mussolini si ritrova vittima del furto della propria bombetta, che non verrà più ritrovata, e della pergamena che doveva essere inserita all'interno. Dopo la cerimonia Mussolini fugge via, infastidito da questi incidenti ed anche dal fischio dei caprai durante il suo discorso e, come avvenuto per altre opere in Italia, di Mussolinia se ne dimenticano tutti: nel 1930 non è ancora stata completata. Ma lui se ne ricorda, gettando nel panico l'ideatore (Barone) e le autorità fasciste locali. Si decide di ricorrere ad un fotomontaggio, utilizzando delle sagome di legno al posto delle case in muratura. Insomma, un fotomontaggio.
Gigino fu il protomartire (tanti ne avremmo visti negli anni a venire) di una realtà stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali accodati a quella volontà politica, dalla cosidetta opinione politica orientata dal potere. Sulla morte di Gigino Gattuso, e proprio senza alcun rispetto per la sua morte, venne costruita una solenne mistificazione che sostituiva la realtà con una realtà virtuale, inesistente.
Aprile 2005
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La storia raccontata ne "Il re di Girgenti" invece non mi aveva appassionato, troppo lunga e priva di quel houmor graffiante (contro la mafia, contro la burocrazia dello stato piemontese) che caratterizza quei capolavori come "Il birraio di Preston" e "La concessione del telefono". "Privo di titolo" riprende quello stile: ironico, pungente: deride il fascismo siciliano mettendone in ridicolo tutti gli aspetti coreografici, pomposi che lo caratterizzano. Il culto dei "martiri", le cerimonie con i labari, camicie nere e bandiere, i discorsi roboanti dove si tira in ballo la patria, l'onore, l'antibolscevimo .. Il capo della sezione fascista del paese che, durante i giorni della marcia su Roma, se la spassa a Taormina. ..
"Privo di titolo" è la storia di un imbroglio: come da un omicidio per rissa, si arrivi a costruire l'immagine del (primo e unico) martire fascista, ucciso il 24 aprile 1921, "assassinato da mano bolscevica". Il realtà Gigino Gattuso, che viene citato col suo vero nome solo nel primo capitolo che fa da introduzione, morì ucciso da un suo compagno fascista durante una rissa, contro un militante comunista.
La vicenda viene raccoltata come se fosse una rappresentazione scenografica teatrale: prima l'introduzione dei personaggi, descritti col solito stile cinico e impietoso (lo studente che fa la bella vita, il nipotastro della ricca nonna ...). Poi la storia dell'agguato, che viene raccontata tramite fermi immagine, una trovata inedita in Camilleri, dove l'io narrante analizza i dettagli della scena perchè avranno una grande importanza nell'indagine.
Segue l'indagine, portata avanti sia dalla squadra politica della Questura, che prende subito la direzione dell'omicidio politico, sia dai carabinieri che, non convinti da alcuni dettagli, cercano di capire la verità. Dal dialogo tra il mareschiallo del paese e il tenete mandato a conurre le indagini:
"Ma come fa a non capirlo, tenente? Il commissario la pensa politicamente in un certo ... e agisce di conseguenza, non solo per obbedire alle sue convinzioni, ma per tirarne il suo tornaconto
Non vedo che tornaconto ...
Ora come ora non ne ha, ma massima tra un anno, quell come lui governeranno l'Italia. Non lo vede come vanno le cose? E Lanzilotta [il comm. politico] sarà in grado di esibire le sue benemerenze e di ricevere in cambio quello che domanderà."Perchè innocente è la vittima dell'agguato, che si autoaccusa del delitto, mentre è incolpevole il defunto fascista, defraudato "nella sua deserta solitudine" della dignità di un semplice morto "privo di titolo".
Alle parti di narrazione si alternano documenti, verbali (delle interrogazioni), testimonianze, secondo lo stile già usato ne "La scomparsa di Patò". Fino alla sentenza finale dell'omicidio: che scagiona il comunista e lo lascia libero. I fascisti locali capiscono che non è più il tempo delle manganellate dell'olio di ricino (siamo nel 1924, poco dopo l'omicidio Matteotti).
"Tu - continuò Mancuso - fatti dare una copia della sentenza e portatela a Roma. E non ti devi limitare, parlando con Giacomino (il capo di gabinetto del ministero degli interni), al nostro caso particolare. Gli devi far presente il grosso rischio che rappresenta una magistratura che non si vuole allineare. Di un magistrato che non sia fascista non si può fidare".
Quanto sembrano attuali queste parole, sembra di averle già sentite.
Contemporaneamente, per omaggiare la discesa di Mussolini in Sicilia, nel 1924, a Caltagirone, il calatino Giacomo Barone, capo di gabinetto del ministero degli interni, decide di costruire una città e di chiamarla Mussolinia. Alla posa della prima pietra (prima pietra per modo di dire, poichè la costruzione delle casi era già iniziata) Mussolini si ritrova vittima del furto della propria bombetta, che non verrà più ritrovata, e della pergamena che doveva essere inserita all'interno. Dopo la cerimonia Mussolini fugge via, infastidito da questi incidenti ed anche dal fischio dei caprai durante il suo discorso e, come avvenuto per altre opere in Italia, di Mussolinia se ne dimenticano tutti: nel 1930 non è ancora stata completata. Ma lui se ne ricorda, gettando nel panico l'ideatore (Barone) e le autorità fasciste locali. Si decide di ricorrere ad un fotomontaggio, utilizzando delle sagome di legno al posto delle case in muratura. Insomma, un fotomontaggio.
Gigino fu il protomartire (tanti ne avremmo visti negli anni a venire) di una realtà stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali accodati a quella volontà politica, dalla cosidetta opinione politica orientata dal potere. Sulla morte di Gigino Gattuso, e proprio senza alcun rispetto per la sua morte, venne costruita una solenne mistificazione che sostituiva la realtà con una realtà virtuale, inesistente.
Aprile 2005
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lunedì 24 settembre 2012
Il complotto contro l'America di Philip Roth
Non è solo contro l'America il complotto: ma contro ciò che questa
rappresenta. La giustizia, la libertà per tutti, un complotto contro gli
ebrei americani in prima battuta, ma anche contro la repubblica
americana. Il piccolo Philip Roth, figlio di una
famiglia benestante di Newark, New Jersey, è il testimone della
ipotetica svolta antisemita dell'America. L'autore immagina che, nelle
elezioni del 1940, l'aviatore Lindbergh, sfruttando la
paura degli americani per la guerra, scoppiata nel 1939 in Europa, vinca
le elezioni. La politica dell'America cambia: smette di appogiare le
nazioni alleate, Francia e Inghilterra e, dietro una apparente
neutralità, stringe un patto con la Germania nazista. Diventa una
nazione chiusa isolata dal resto del mondo.
“Lindbergh, davanti ad una sala di Des Moines piena di sostenitori plaudenti, tenne finalmente il famoso discorso radiofonico che nominava, <<tra i gruppi più importanti che hanno spinto questo paese verso la guerra>>, un gruppo che che rappresentava meno del 3 per cento della popolazione e al quale l'oratore accennò chiamandolo alternativamente <<il popolo ebraico>> e <<la razza ebraica>>”.
Philip vede con i suoi occhi la trasformazione del suo paese e, di riflesso della sua vita familiare: il padre viene chiamato “fanfarone ebreo”, per aver espresso le sue idee anti Lindbergh. Durante una gita a Washington, gli viene dato un assaggio di come si sta trasformando la vita pubblica: con una scusa sono cacciati dall'albergo e subiscono minacce antisemite da altri turisti. Il trionfo di Lindbergh è stato il segnale di un inizio di stagione di caccia , dalla classe media americana. Consci di quello che i nazisti stanno facendo agli ebrei in Europa, anche i Roth e altri ebrei, temono che anche qui possano iniziare, dopo le discriminazioni, le persecuzioni. Queste paure dividono gli ebrei stessi: all'interno di questi sono presenti persone che appoggiano il presidente e la politica che stà portando avanti. Perchè il complotto è portato avanti in maniera insidiosa che solo poche persone possono vederlo: e quelle che lo fanno vengono liquidate come folli, paranoiche.
Il rabbino Bengelsdorf, collaborazionista della politica del presidente, rappresenta la parte della comunità ebraica che non vede il pericolo. Sposa una zia di Philip, Evelyn, e, ad una conferenza dei repubblicani, appoggia l'aviatore che aveva ricevuto una medaglia da Hitler: tenere fuori dalla guerra è la priorità, egoisticamente. Salvare gli ebrei americani e lasciare i suoi correligionari in Europa al loro destino. La spaccatura colpisce la sua famiglia direttamente: un cugino scappa in Canada per combattere contro i tedeschi, con i commandos canadesi. Tornerà ferito, disilluso, ferito nel fisico (gli viene amputata una gamba) e nel morale: su una sedia a rotelle prima e su una gamba artificiale poi, si lascirà andare, fino a finire nel giro della malavita, a controllare le macchinette da gioco.
Il fratello di Philip, Sandy, sotto l'influenza della zia e del rabbino Bengelsdorf, si iscrive al programma Just Folks, che allontana i bambini ebrei dalle famiglie. Dopo aver trascorso un'estate a lavorare in una fattoria (di una famiglia rurale, ossia simpatizzante con Lindbergh), torna a casa incapace di comprendere perchè i genitori si agitino tanto per Hitler e perchè siano in preda a un “complesso di persecuzione”. Diventa reclutatore dell'organizzazione Just Folks: con questa il governo cerca di allontanare i giovani dalle proprie famiglie, “per meglio integrare gli ebrei nella società americana”. Roth rappresenta bene le diverse facce dell'America: la famiglia cristiana del Kentucky e la famiglia ebrea del New Jersey.
“Mawhinney era cristiano, membro di vecchia data della schiacciante maggioranza che aveva fatto la Rivoluzione e fondato la nazione e civilizzato la selva e soggiogato gli indiani e ridotto i negri in schiavitù ed emancipato i negri e segregato i negri, uno dei milioni di buoni cristiani, puliti e laboriosi, che avevano colonizzato la frontiera, arato i campi, costruito la città, e che governavano gli stati, sedevano al congresso, occupavano la Casa Bianca, [...] uno di quegli inattaccabili protestanti nordici e anglosassoni che governavano l'America e sempre l'avrebbero governata – generali, dignitari, magnati, capitani d'industria, gli uomini che facevavo le leggie comandavano e quando volevano richiamavano all'ordine- mentre mio padre, naturalmente, era soltanto ebreo.”
La paura di Philip, paura che niente potrà più essere come prima, è ben manifestata da un suo incubo: immagina che su tutti i suoi francobolli della collezione appaia la svastica dei nazisti. Sulla serie dei parchi nazionali, (Yosemite, Grand Canyon, Zion ..) sulla faccia dei francobolli, “su quanto di più verde, bianco e blu ci fosse in America, da conservare per sempre in queste riserve incorrotte, era stampata la svastica nera”. Il complotto gli impone una visione di un mondo diviso tra noi e loro, basato sull'odio e sul sospetto: si trasforma da americano ebreo ad un povero ebreo d'America. È proprio questo l'obiettivo che il complotto del titolo di Roth intende raggiungere: espellere gli ebrei dall'America. Juden Raus. Il governo, dopo aver sottratto i giovani alle loro famiglie, porta avanti un altro progetto: il trasferimento delle famiglie di religione ebrea con l'obiettivo “di indebolire la solidarietà della struttura sociale ebraica, come purre di ridurre la forza elettorale che una comunità israeitica poteva avere alle elezioni locali e congressuali”. Il padre rifiuta, preferisce andare a lavorare in un mercato ortofrutticolo e rimanere a Newark, piuttosto che abbandonare le sue radici. Il padre, Herman, sente che questa è la sua America, non è l'America di Hitler o di Lindbergh: sono loro ad essere estranei alla cultura e alla democrazia.
Il complotto non è un romanzo storico, perchè il passato che Roth va a rappresentare non è reale: l'autore è stato costretto ad agganciare il suo racconto alla storia troncandola in due punti. Il primo, nel 1940, con l'elezione di Lindbergh e la deriva antisemita. Il secondo nel 1942, con la sua caduta. La resistenza al complotto si raccolgono attorno alla voce di Walter Winchell che, dal suo programma radiofonico, scaglia le sue accuse contro Lindbergh. Viene criticato dal New York Times e, all'interno, dagli ebrei come Bengelsdorf definendoli “ebrei collaborazionisti ultracivilizzati”. Rimosso dalla radio, annuncia la sua candidatura alle primarie, per i democratico, per le elezioni del 1944, ma viene assassinato durante un comizio. Il sindaco di New York, durante il funerale, tiene un discorso nel quale si accusa il silenzio nel quale i nazisti d'America stanno agendo. In America si era detto, non potrà mai accadere: ma sta accadendo in realtà ... Il discorso termina con la domanda ironica “Dov'è Lindbergh? ” E Lindbergh scompare, durante un volo, mentre la situazione peggiora: il potere è ora in mano al vicepresidente Wheeler, che porta la nazione in uno stato di terrore. Nei tumulti in cui sono presi di mira gli ebrei e le loro attività commerciali, vengono uccise 122 persone, come avvenuto nel 1938 durante la Kristalle Nacht. La moglie del presidente viene posta sotto custodia dall' FBI, l'esercito si mobilita per una guerra contro il Canada. Ma il paese reagisce: nelle elezioni presidenziali del 1942 viene rieletto Roosvelt e il Giappone bombarda Pearl Harbour. La storia, riprende così il suo corso.
Quanto c'è di immaginario e quanto c'è di vero nel libro di Roth? L'antisemitismo di Lindbergh (e di Ford, che nell'ipotetico governo assume il ruolo di ministro) era reale. Rappresentava un sentire comune nella società americana: un antisemitismo alimentato dalle comunità di immigrati europei, che si intrecciava nell'intolleranza nei confronti dei neri. Reali sono stati anche il Ku Klux Klan, i bundisti tedesco-americani, il partito di America First e il partito Nazista americano.
Perchè è un libro da leggere: perchè appartiene alla categoria di quelli che ti allargano gli orizzonti. Ti fanno sorgere delle riflessioni: allora (in questa storia ipotetica) era la paura della guerra a spingere l'America verso l'isolazionismo. L'illusione di poter chiudere gli occhi e non vedere il nazismo, la repressione dei diversi (ebrei, in primo luogo, ma anche gli oppositori), la guerra e poter scendere a patti con esponenti del nazismo. Stringere quelle mani e non accorgersi che quelle mani sono ora sporche di sangue. Oggi il mondo occidentale, e l'America per prima, ha paura di tutto ciò che sta all'esterno dei propri confini: la paura del terrorismo sta portando ad altre chiusure. La storia che il libro di Roth racconta è ancora attuale.
Marzo 2005
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“Lindbergh, davanti ad una sala di Des Moines piena di sostenitori plaudenti, tenne finalmente il famoso discorso radiofonico che nominava, <<tra i gruppi più importanti che hanno spinto questo paese verso la guerra>>, un gruppo che che rappresentava meno del 3 per cento della popolazione e al quale l'oratore accennò chiamandolo alternativamente <<il popolo ebraico>> e <<la razza ebraica>>”.
Philip vede con i suoi occhi la trasformazione del suo paese e, di riflesso della sua vita familiare: il padre viene chiamato “fanfarone ebreo”, per aver espresso le sue idee anti Lindbergh. Durante una gita a Washington, gli viene dato un assaggio di come si sta trasformando la vita pubblica: con una scusa sono cacciati dall'albergo e subiscono minacce antisemite da altri turisti. Il trionfo di Lindbergh è stato il segnale di un inizio di stagione di caccia , dalla classe media americana. Consci di quello che i nazisti stanno facendo agli ebrei in Europa, anche i Roth e altri ebrei, temono che anche qui possano iniziare, dopo le discriminazioni, le persecuzioni. Queste paure dividono gli ebrei stessi: all'interno di questi sono presenti persone che appoggiano il presidente e la politica che stà portando avanti. Perchè il complotto è portato avanti in maniera insidiosa che solo poche persone possono vederlo: e quelle che lo fanno vengono liquidate come folli, paranoiche.
Il rabbino Bengelsdorf, collaborazionista della politica del presidente, rappresenta la parte della comunità ebraica che non vede il pericolo. Sposa una zia di Philip, Evelyn, e, ad una conferenza dei repubblicani, appoggia l'aviatore che aveva ricevuto una medaglia da Hitler: tenere fuori dalla guerra è la priorità, egoisticamente. Salvare gli ebrei americani e lasciare i suoi correligionari in Europa al loro destino. La spaccatura colpisce la sua famiglia direttamente: un cugino scappa in Canada per combattere contro i tedeschi, con i commandos canadesi. Tornerà ferito, disilluso, ferito nel fisico (gli viene amputata una gamba) e nel morale: su una sedia a rotelle prima e su una gamba artificiale poi, si lascirà andare, fino a finire nel giro della malavita, a controllare le macchinette da gioco.
Il fratello di Philip, Sandy, sotto l'influenza della zia e del rabbino Bengelsdorf, si iscrive al programma Just Folks, che allontana i bambini ebrei dalle famiglie. Dopo aver trascorso un'estate a lavorare in una fattoria (di una famiglia rurale, ossia simpatizzante con Lindbergh), torna a casa incapace di comprendere perchè i genitori si agitino tanto per Hitler e perchè siano in preda a un “complesso di persecuzione”. Diventa reclutatore dell'organizzazione Just Folks: con questa il governo cerca di allontanare i giovani dalle proprie famiglie, “per meglio integrare gli ebrei nella società americana”. Roth rappresenta bene le diverse facce dell'America: la famiglia cristiana del Kentucky e la famiglia ebrea del New Jersey.
“Mawhinney era cristiano, membro di vecchia data della schiacciante maggioranza che aveva fatto la Rivoluzione e fondato la nazione e civilizzato la selva e soggiogato gli indiani e ridotto i negri in schiavitù ed emancipato i negri e segregato i negri, uno dei milioni di buoni cristiani, puliti e laboriosi, che avevano colonizzato la frontiera, arato i campi, costruito la città, e che governavano gli stati, sedevano al congresso, occupavano la Casa Bianca, [...] uno di quegli inattaccabili protestanti nordici e anglosassoni che governavano l'America e sempre l'avrebbero governata – generali, dignitari, magnati, capitani d'industria, gli uomini che facevavo le leggie comandavano e quando volevano richiamavano all'ordine- mentre mio padre, naturalmente, era soltanto ebreo.”
La paura di Philip, paura che niente potrà più essere come prima, è ben manifestata da un suo incubo: immagina che su tutti i suoi francobolli della collezione appaia la svastica dei nazisti. Sulla serie dei parchi nazionali, (Yosemite, Grand Canyon, Zion ..) sulla faccia dei francobolli, “su quanto di più verde, bianco e blu ci fosse in America, da conservare per sempre in queste riserve incorrotte, era stampata la svastica nera”. Il complotto gli impone una visione di un mondo diviso tra noi e loro, basato sull'odio e sul sospetto: si trasforma da americano ebreo ad un povero ebreo d'America. È proprio questo l'obiettivo che il complotto del titolo di Roth intende raggiungere: espellere gli ebrei dall'America. Juden Raus. Il governo, dopo aver sottratto i giovani alle loro famiglie, porta avanti un altro progetto: il trasferimento delle famiglie di religione ebrea con l'obiettivo “di indebolire la solidarietà della struttura sociale ebraica, come purre di ridurre la forza elettorale che una comunità israeitica poteva avere alle elezioni locali e congressuali”. Il padre rifiuta, preferisce andare a lavorare in un mercato ortofrutticolo e rimanere a Newark, piuttosto che abbandonare le sue radici. Il padre, Herman, sente che questa è la sua America, non è l'America di Hitler o di Lindbergh: sono loro ad essere estranei alla cultura e alla democrazia.
Il complotto non è un romanzo storico, perchè il passato che Roth va a rappresentare non è reale: l'autore è stato costretto ad agganciare il suo racconto alla storia troncandola in due punti. Il primo, nel 1940, con l'elezione di Lindbergh e la deriva antisemita. Il secondo nel 1942, con la sua caduta. La resistenza al complotto si raccolgono attorno alla voce di Walter Winchell che, dal suo programma radiofonico, scaglia le sue accuse contro Lindbergh. Viene criticato dal New York Times e, all'interno, dagli ebrei come Bengelsdorf definendoli “ebrei collaborazionisti ultracivilizzati”. Rimosso dalla radio, annuncia la sua candidatura alle primarie, per i democratico, per le elezioni del 1944, ma viene assassinato durante un comizio. Il sindaco di New York, durante il funerale, tiene un discorso nel quale si accusa il silenzio nel quale i nazisti d'America stanno agendo. In America si era detto, non potrà mai accadere: ma sta accadendo in realtà ... Il discorso termina con la domanda ironica “Dov'è Lindbergh? ” E Lindbergh scompare, durante un volo, mentre la situazione peggiora: il potere è ora in mano al vicepresidente Wheeler, che porta la nazione in uno stato di terrore. Nei tumulti in cui sono presi di mira gli ebrei e le loro attività commerciali, vengono uccise 122 persone, come avvenuto nel 1938 durante la Kristalle Nacht. La moglie del presidente viene posta sotto custodia dall' FBI, l'esercito si mobilita per una guerra contro il Canada. Ma il paese reagisce: nelle elezioni presidenziali del 1942 viene rieletto Roosvelt e il Giappone bombarda Pearl Harbour. La storia, riprende così il suo corso.
Quanto c'è di immaginario e quanto c'è di vero nel libro di Roth? L'antisemitismo di Lindbergh (e di Ford, che nell'ipotetico governo assume il ruolo di ministro) era reale. Rappresentava un sentire comune nella società americana: un antisemitismo alimentato dalle comunità di immigrati europei, che si intrecciava nell'intolleranza nei confronti dei neri. Reali sono stati anche il Ku Klux Klan, i bundisti tedesco-americani, il partito di America First e il partito Nazista americano.
Perchè è un libro da leggere: perchè appartiene alla categoria di quelli che ti allargano gli orizzonti. Ti fanno sorgere delle riflessioni: allora (in questa storia ipotetica) era la paura della guerra a spingere l'America verso l'isolazionismo. L'illusione di poter chiudere gli occhi e non vedere il nazismo, la repressione dei diversi (ebrei, in primo luogo, ma anche gli oppositori), la guerra e poter scendere a patti con esponenti del nazismo. Stringere quelle mani e non accorgersi che quelle mani sono ora sporche di sangue. Oggi il mondo occidentale, e l'America per prima, ha paura di tutto ciò che sta all'esterno dei propri confini: la paura del terrorismo sta portando ad altre chiusure. La storia che il libro di Roth racconta è ancora attuale.
Marzo 2005
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Aristotele Detective di Margaret Doody
Un giallo ambientato ad Atene, nel 330 a.c., quando il regno macedone
di Alessandro Magno è in forte espansione e sta sconfiggendo le armate
persiane di Dario. Un ex arconte, Boutades, viene ucciso nella sua casa:
viene accusato un esule, Filemone, costretto a fuggire per aver ucciso
durante una rissa.
Lo deve difendere il cugino Stefanos, che è il parente più prossimo di Filemone ma anche l'unico maschio della famiglia (il padre è morto). Si ritrova così, solo, di fronte alle accuse della fratria di Boutades, agli sguardi ostili degli ateniesi, che lo considerano addirittura un amico dei persiani.
Stefanos, si rivolge al suo vecchio maestro, Aristotele, l'unica persona di cui può fidarsi in Atene. Questo l'inizio del romanzo, con Aristotele che ricorda il personaggio di Sherlock Holmes: il libro non brilla per gli aspetti di indagine, i colpi di scena, ma per la buona ricostruzione dell'ambiente storico e sociale dell'epoca.
Sono descritti nel dettaglio i vestiti degli ateniesi benestanti, gli arredamenti delle case, ma anche gli usi, come il rito funerario e le varie fasi del processo che Stefanos deve affrontare.
Come indagatore, Aristotele, ricorda altri personaggi del giallo come Nero Wolfe, poichè si muove poco dalla propria casa: è Stefanos il suo braccio, che dovrà travestirsi per mischiarsi ai pescatori del Pireo, accompagnare la moglie del cugino al sicurio in Macedonia ed essere coinvolto in un imboscata in cui rischia la vita. Ma le deduzioni logiche de "La Mente" permetteranno l'analisi degli indizi e alla risoluzione dell'enigma.
Marzo 2005
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Lo deve difendere il cugino Stefanos, che è il parente più prossimo di Filemone ma anche l'unico maschio della famiglia (il padre è morto). Si ritrova così, solo, di fronte alle accuse della fratria di Boutades, agli sguardi ostili degli ateniesi, che lo considerano addirittura un amico dei persiani.
Stefanos, si rivolge al suo vecchio maestro, Aristotele, l'unica persona di cui può fidarsi in Atene. Questo l'inizio del romanzo, con Aristotele che ricorda il personaggio di Sherlock Holmes: il libro non brilla per gli aspetti di indagine, i colpi di scena, ma per la buona ricostruzione dell'ambiente storico e sociale dell'epoca.
Sono descritti nel dettaglio i vestiti degli ateniesi benestanti, gli arredamenti delle case, ma anche gli usi, come il rito funerario e le varie fasi del processo che Stefanos deve affrontare.
Come indagatore, Aristotele, ricorda altri personaggi del giallo come Nero Wolfe, poichè si muove poco dalla propria casa: è Stefanos il suo braccio, che dovrà travestirsi per mischiarsi ai pescatori del Pireo, accompagnare la moglie del cugino al sicurio in Macedonia ed essere coinvolto in un imboscata in cui rischia la vita. Ma le deduzioni logiche de "La Mente" permetteranno l'analisi degli indizi e alla risoluzione dell'enigma.
Marzo 2005
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La notte dei generali di Hans Hellmut Kirst
Un romanzo storico, ambientato durante la seconda guerra mondiale e che
usa il mezzo del giallo per parlare della guerra, in tono fortemente
ant-militaristico, ed è un attacco alla casta militare tedesca,
descritta in modo impietoso nei loro difetti. La storia, brevemente: un
sadico criminale ammazza in modo violento delle prostitute, a Varsavia,
nel 1942, a Parigi nel 1944 e a Dresda nel 1956. Un ufficiali dei
servizi segreti, il maggiore Grau, indaga sul primo delitto: le sue
attenzioni si concentrano su tre generali, di stanza a Varsavia, che non
hanno un alibi per quella notte. Sono tre generali dalle
caratteristiche diverse: il primo Von Seydlitz-Gabler
rappresenta il classico esempio di aristocratico prussiano, che pretende
di incarnare lo spirito della grande Germania. Il generale Kahlemberge,
capo di stato maggiore del primo: una persona intelligente, non
attaccata alle tradizioni militari. E' infatti uno dei membri del gruppo
di ufficiali tedeschi che attentarono alla vita di Hitler. Infine il
generale Tanz: il classico militare da battaglia, per
cui non importa il numero dei propri soldati morti (di cui non conosce
il nome, anzi non ha alcun interesse ad avere alcun rapporto con loro),
ma importa solo la vittoria. Grau, dopo aver iniziato l'indagine, viene
allontanato da Varsavia. Parigi, luglio 1944: un altro omicidio, con le
stesse modalità di Varsavia. Gli stessi protagonisti del 1942 si
ritrovano. Le avversità della guerra, le disfatte in Africa e in Russia,
convincono un gruppo di ufficiali tedeschi della necessità di uccidere
Hitler, rovesciare il partito nazista dal potere. Qui il romanzo lascia il posto alla Storia:
l'autore si è ben documentato per parlare di quei giorni. La
preparazione dell'attentato e, soprattutto le cause del fallimento, il
20 luglio 1944, a Rastemburg in Prussia: il caso, che favorì Hitler,
rimasto solo ferito dallo scoppio della bomba, ma soprattutto la
mancanza di coordinamento tra i gruppi dei cospiratori. Questi ufficiali
aspettarono ore preziose prima di bloccare i centri di potere del
nazismo e le SS, ma principalmente si dimenticarono di bloccare i centri di comunicazione
tra il quartier generale a Berlino e il resto della Germania. Un Hitler
ferito, infatti riuscì a mettersi in contatto con Goebbels, prima che
questi fosse arrestato, e, via radio, annunciò la sua rabbiosa
rappresaglia.
La notte dei generali è appunto la notte del 20 luglio 1944, del fallito attentato: gli ufficiali legati al complotto sono arrestati, uccisi o costretti a scappare, come nel romanzo Kahlemberg: “E' con ciò per noi la guerra è praticamente finita. È scesa la notte dei generali. Se vogliamo sopravvivere dobbiamo vestire panni borghesi. Tiriamo una grossa riga e chiudiamo la partita, non ci resta altro da fare”.
La terza parte del libro è ambientata nel 1956, in Germania. I superstiti hanno cambiato mestiere, la guerra è finita ma Prevert, un commissario di polizia che aveva collaborato con Grau a Parigi, vuole chiudere i conti. È qui l'azione lascia lo spazio alla voce dell'autore, attraverso Kahlemberge (il generale del gruppo degli attentatori) e Prevert: i vecchi generali sopravissuti alla guerra, sbugiardati dalla storia che ne ha rivelato fino in fondo i loro errori, sono ancora in vita e pronti a riaffermare le loro idee sullo spirito di grandezza della Germania, di cui loro si credono ancora principali interpreti. Kahlemberge (ed anche l'autore) avverte il pericolo che nuovamente queste malsane idee nazionaliste, possano tornare a circolare. Il romanzo termina con lo smascheramento del generale assassino, ma con un'accusa all'intera casta militare che aveva contribuito a far precipitare la Germania nella guerra. C'è una pagina, dove l'autore mette di fronte il generale assassino, e un suo soldato, testimone di uno dei suoi delitti: è una pagina da leggere e tenere a mente per la profondità del contenuto e, purtroppo, per la sua attualità.
Belle parole, attuali, anche se scritte nel 1965. Da questo romanzo è stato tratto il film diretto da Anatole Litvak, con Peter O'Toole e Omar Sharif. Indimenticabile la scena in cui il generale Tanz (O'Toole) si trova di fronte l'autoritratto di Van Gogh, “l'ultimo sguardo a se stesso, prima di precipitare sull'abisso del nulla”.
Marzo 2005.
Non trovo nessun link per ordinare il libro (qui per uno usato).
La notte dei generali è appunto la notte del 20 luglio 1944, del fallito attentato: gli ufficiali legati al complotto sono arrestati, uccisi o costretti a scappare, come nel romanzo Kahlemberg: “E' con ciò per noi la guerra è praticamente finita. È scesa la notte dei generali. Se vogliamo sopravvivere dobbiamo vestire panni borghesi. Tiriamo una grossa riga e chiudiamo la partita, non ci resta altro da fare”.
La terza parte del libro è ambientata nel 1956, in Germania. I superstiti hanno cambiato mestiere, la guerra è finita ma Prevert, un commissario di polizia che aveva collaborato con Grau a Parigi, vuole chiudere i conti. È qui l'azione lascia lo spazio alla voce dell'autore, attraverso Kahlemberge (il generale del gruppo degli attentatori) e Prevert: i vecchi generali sopravissuti alla guerra, sbugiardati dalla storia che ne ha rivelato fino in fondo i loro errori, sono ancora in vita e pronti a riaffermare le loro idee sullo spirito di grandezza della Germania, di cui loro si credono ancora principali interpreti. Kahlemberge (ed anche l'autore) avverte il pericolo che nuovamente queste malsane idee nazionaliste, possano tornare a circolare. Il romanzo termina con lo smascheramento del generale assassino, ma con un'accusa all'intera casta militare che aveva contribuito a far precipitare la Germania nella guerra. C'è una pagina, dove l'autore mette di fronte il generale assassino, e un suo soldato, testimone di uno dei suoi delitti: è una pagina da leggere e tenere a mente per la profondità del contenuto e, purtroppo, per la sua attualità.
“I generali comandano migliaia di soldati. E migliaia di questi uomini i generali non li hanno mai visti, probabilmente non hanno mai scambiato una parola con loro, non hanno mai sentito il loro nome; però sono i loro generali.Per i generali la maggior parte di queste migliaia di soldati sono semplicemente parti di compagnie o reggimenti, un numero fra molti numeri, dalla cui somma risulta poi l'inventario giornaliero dell'unità [...] La parola di un generale .. e migliaia di soldati marciano, attaccano, si ritirano, o corrono a morire. Non si può immaginare forma di potere più completa, più totale di quella dei generali quando vige lo stato di emergenza, quando la sola a dettar legge è la guerra. [...] Dove gli uomini agiscono in massa, perdono il loro volto, il loro nome, la loro realtà umana .. nei capannoni delle fabbriche come nelle tribune dei giochi popolari o nelle caserme, che sono le anticamere della guerra. [...] Le decisioni dei generali riguardano dunque la vita e la morte, e non di singoli individui, come capita ad un giudice o a un medico, ma di migliaia. E le somme ultime delle guerre che i generali conducono, toccano i milioni. [...] Un generale deve essere consapevole che in tempo di guerra gli si richiede ininterrotamente di prendere questa che è la più dura e più difficile delle decisioni. Ma appunto per questo egli non ha altra scelta che quella dell'umiltà. La consapevolezza di portare un peso che è il più grace che possa cadere sulle spalle umane, che deve essere sempre vigile, altrimenti questa scalata al potere di uomini senza scrupoli, o delittuosa stupidità o ancora sete conscia o inconscia di sangue. E tutto questo sficia in un denominatore comune, in un solo risultato: il delitto. E frasi come <<Nulla si ottiene senza sacrificio!>> o <<Gli uomini sono il concime della storia>> non sono che comidi luighi comuni. Per certi storici le vie che conduconoad un'umanità migliore sono sempre lastricate di cadaveri .. solo che essi non sono fra questi cadavero e non hanno intenzione di esserlo. [...] Ci sono anche questi generali. Ma non ci sono solo questi. Alcuni generali sono soldati tra i soldati. Cercano di vivere come il più umile dei loro fanti; [...] Esistono generali che non solo vogliono servire con coerenza ed onestà, ma soffrono e meditano: sul significato della loro esistenza, sul valore della nazione, sulle responsabilità non solo verso i singoli ma anche verso la storia. Sono gli uomini del 20 luglio. [....] Ma vi furono generali che non sono e che non furono altro che zelanti servitori di chi detiene il potere. [...] Quando erano tra loro chiamavano il comandante supremo (Hitler) <<porco>> o <<maiale>>. Ridevano di lui, lo denigravano. [...] Ma inconcepibile rimane il fatto che questi stessi generali non hanno esitato a mandare a morire migliaia e centinaia di migliaia di poveri soldati. [...] E vi sono infine altri generali che non furono e non sono altro che strumenti, operai della guerra, spaventosi esemplari del sergente di caserma all'ennessima potenza. [...] Sotto di loro si combatte e si muore.. ed è sempre pronta una giustificazione valida. [...] Terrorizza l'idea che fra i generali possano allignare tipi simili. In quanto ogni altro settore della vita si è disposti ad ammettere l'esistenza di nature tanto ambigue: uomini d'affari, che per amore del profitto rovinano allegramente il prossimo; magnati dell'industria e della finanza che con mezzi leciti ed illeciti rovinano ditte concorrenti e cercano persino l'appoggio dello stato; beniamini del pubblico adoratori delle folle, un bel giorno si rivelano perfetti imbecilli o dei maniaci sessuali. [...] Ma nel settore dei generali non si tollerano mezze misure, ambiguità, insufficienze. Perchè i loro calcoli si pagano col sangue. [...] Ai generali non è dato guardare negli occhi i loro soldati nell'ora della decisione. Ma se in quel momento un generale non pensa ai suoi soldati, ha già fallito, davanti alla vita, davanti agli uomini, davanti a Dio.”
Belle parole, attuali, anche se scritte nel 1965. Da questo romanzo è stato tratto il film diretto da Anatole Litvak, con Peter O'Toole e Omar Sharif. Indimenticabile la scena in cui il generale Tanz (O'Toole) si trova di fronte l'autoritratto di Van Gogh, “l'ultimo sguardo a se stesso, prima di precipitare sull'abisso del nulla”.
Marzo 2005.
Non trovo nessun link per ordinare il libro (qui per uno usato).
Con la morte nel cuore di Gianni Biondillo
Michele Ferraro è un ispettore di polizia del commissariato di Quarto
Oggiaro. Non è un super eroe, non è un cuoco sopraffino (alla
Montalbano), amante della buona cucina, ma una persona che deve fare i
conti con molte difficoltà personali, come l'essere separato con una
figlia cui vuole molto bene e professionali, come dover fare il
poliziotto in una città difficile come Milano.
La sua unica arma è l'autoironia; dall'intervista dell'autore a InfiniteStorie “il dono più grande per un essere vivente - cani, gatti e scarafaggi compresi - è il senso dell’umorismo. Non auguro un futuro da geni incompresi alle mie figlie. Ma un futuro divertente. Che riescano a saper ridere di sé, innanzitutto, e poi delle avversità della vita. È la più grossa arma che abbiamo contro il qualunquismo, e l’omologazione imperante. E poi: conosco persone intelligentissime ma profondamente noiose. Ma non ho mai conosciuto nessuna persona divertente che non sia, anche, autenticamente profonda.”
Con la morte nel cuore è un giallo a pretesto: l'obiettivo di Biondillo non è descrivere un'indagine, arrivare ad un assassino. Ma è lo stesso un vero piacere leggere un libro come questo, da gustare con calma: la stessa usata dall'autore per descrivere luoghi e persone, di una Milano, la vera protagonista del libro, descritta tramite alcuni suoi abitanti, estratti dai quartieri meno noti, personaggi che non compaiono nelle prime pagine nei giornali, ma ugualmente veri. Come “il baffo”, un ex viveour ora costretto a vivere sotto i ponti, troppo orgoglioso per chiedere i soldi o per vivere in un dormitorio. O come l'ispettore Michele Ferraro stesso.
Nel precedente libro, la storia terminava con l'ispettore che decideva di re-iscriversi all'università per laurearsi: ora si riparte con Ferraro di fronte ad un professore, suo ex compagno di studi. Il suo superiore, il vicequestore Zeni gli concede controvoglia una sorta di “part time”, ma per vendicarsi lo assegna a casi minori, come la scomparsa di un ragazzo, il tentativo di stupro da parte di un croato (o forse un serbo). Ferraro deve sottrarre il ragazzo al furore della gente del quartiere. Sono casi minori, che servono ad introdurre i personaggi e i luoghi: fino ad arrivare al “caso” finale, dove si intrecciano trafficanti di esseri umani e criminalità milanese.
Interessante lo stile narrativo, che cambia frequentemente: dal dialogo assurdo di Ferraro e Comaschi davanti alla macchinetta del caffè (che poverina, si meriterebbe in ringraziamento), all'utilizzo di articoli di giornale, per descrivere la strage di Quarto Oggiaro, fino all'utilizzo delle riflessioni e pensieri personali di Ferraro per descrivere in chiave ironica le persone che man mano incontra.
Citazione preferita- Il tempo su Milano
Il tempo a Milano è come una ragazzina perversa. Te la fa annusare, ma non te la dà. Siamo gonfi di voglia per settimane, per mesi. Ma niente, solo umidità, e una grande sete. Poi, quando te ne sei fatto una ragione, quando non ci pensi più, il primo scroscio di pioggia ti trova impreparato.
La ragazzina si è lasciata andaree ora è la più zoccola di tutta la classe. Ti bagna per giorni, pornografica, fino allo sfinimento.
marzo 2005
Il link su ibs
La sua unica arma è l'autoironia; dall'intervista dell'autore a InfiniteStorie “il dono più grande per un essere vivente - cani, gatti e scarafaggi compresi - è il senso dell’umorismo. Non auguro un futuro da geni incompresi alle mie figlie. Ma un futuro divertente. Che riescano a saper ridere di sé, innanzitutto, e poi delle avversità della vita. È la più grossa arma che abbiamo contro il qualunquismo, e l’omologazione imperante. E poi: conosco persone intelligentissime ma profondamente noiose. Ma non ho mai conosciuto nessuna persona divertente che non sia, anche, autenticamente profonda.”
Con la morte nel cuore è un giallo a pretesto: l'obiettivo di Biondillo non è descrivere un'indagine, arrivare ad un assassino. Ma è lo stesso un vero piacere leggere un libro come questo, da gustare con calma: la stessa usata dall'autore per descrivere luoghi e persone, di una Milano, la vera protagonista del libro, descritta tramite alcuni suoi abitanti, estratti dai quartieri meno noti, personaggi che non compaiono nelle prime pagine nei giornali, ma ugualmente veri. Come “il baffo”, un ex viveour ora costretto a vivere sotto i ponti, troppo orgoglioso per chiedere i soldi o per vivere in un dormitorio. O come l'ispettore Michele Ferraro stesso.
Nel precedente libro, la storia terminava con l'ispettore che decideva di re-iscriversi all'università per laurearsi: ora si riparte con Ferraro di fronte ad un professore, suo ex compagno di studi. Il suo superiore, il vicequestore Zeni gli concede controvoglia una sorta di “part time”, ma per vendicarsi lo assegna a casi minori, come la scomparsa di un ragazzo, il tentativo di stupro da parte di un croato (o forse un serbo). Ferraro deve sottrarre il ragazzo al furore della gente del quartiere. Sono casi minori, che servono ad introdurre i personaggi e i luoghi: fino ad arrivare al “caso” finale, dove si intrecciano trafficanti di esseri umani e criminalità milanese.
Interessante lo stile narrativo, che cambia frequentemente: dal dialogo assurdo di Ferraro e Comaschi davanti alla macchinetta del caffè (che poverina, si meriterebbe in ringraziamento), all'utilizzo di articoli di giornale, per descrivere la strage di Quarto Oggiaro, fino all'utilizzo delle riflessioni e pensieri personali di Ferraro per descrivere in chiave ironica le persone che man mano incontra.
Citazione preferita- Il tempo su Milano
Il tempo a Milano è come una ragazzina perversa. Te la fa annusare, ma non te la dà. Siamo gonfi di voglia per settimane, per mesi. Ma niente, solo umidità, e una grande sete. Poi, quando te ne sei fatto una ragione, quando non ci pensi più, il primo scroscio di pioggia ti trova impreparato.
La ragazzina si è lasciata andaree ora è la più zoccola di tutta la classe. Ti bagna per giorni, pornografica, fino allo sfinimento.
marzo 2005
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mercoledì 19 settembre 2012
Eduardo Montolli - Il boia
Nel parco delle Groane, vicino Milano, viene trovato il
cadavere di Monsignor Alceste Contini, massacrato a colpi di mannaia .
E' il primo di una serie di omicidi compiuti da un killer, il boia. Dopo
l'omicidio, si diverte a mandare alla polizia una poesia con i dettagli
del prossimo.
Ad indagare è il commissario De Nigris: le indagini si orientano sul giornalista Manuel Montero, che aveva scritto un libro che parlava delle perversioni sessuali, cui la lettera del killer fa riferimento.
L'indagato numero uno, il giornalista Manuel Montero, per evitare di essere incastrato, deve indagare da sè: scopre che tutte le vittime hanno un legame tra loro, che le rende complici e dunque colpevoli di morte.
E' un libro dove la causa del male, che spinge il boia ad uccidere, è scritta nel passato. Passato che affiora piano piano, capitolo dopo capitolo dalle pagine del libro.
Il tono si mantiene sempre in bilico tra l'ironia (come nello stile di Pinketts che ha scritto l'introduzione) e la follia: merito dello scrittore aver saputo scrivere una storia che si legge tutta di un fiato. Fino alla fine non si capisce chi è il colpevole.
Febbraio 2005
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Ad indagare è il commissario De Nigris: le indagini si orientano sul giornalista Manuel Montero, che aveva scritto un libro che parlava delle perversioni sessuali, cui la lettera del killer fa riferimento.
L'indagato numero uno, il giornalista Manuel Montero, per evitare di essere incastrato, deve indagare da sè: scopre che tutte le vittime hanno un legame tra loro, che le rende complici e dunque colpevoli di morte.
E' un libro dove la causa del male, che spinge il boia ad uccidere, è scritta nel passato. Passato che affiora piano piano, capitolo dopo capitolo dalle pagine del libro.
Il tono si mantiene sempre in bilico tra l'ironia (come nello stile di Pinketts che ha scritto l'introduzione) e la follia: merito dello scrittore aver saputo scrivere una storia che si legge tutta di un fiato. Fino alla fine non si capisce chi è il colpevole.
Febbraio 2005
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L'ultimo Catone di Matilde Asensi
Questa è la storia di una ricerca che porta un gruppo
di persone profondamente diverse, a sostenere
un rito di iniziazione. Un capitano delle guardie svizzere, una studiosa
dell'Archivio segreto del Vaticano e un professore egiziano.
Questa è anche la storia di una ricerca: chi sta rubando, dai più importanti musei del mondo, i pezzi della croce dove è stato crocefisso Gesù? Suor Ottavia Salina viene chiamata in Vaticano per decifrare dei simboli trovati sul corpo di un uomo, ritenuto responsabile dei furti: sono sette croci e sette lettere dell'alfabeto greco, atte a comporre la parola Stauros (in greco "croce"). Viene affiancata dal capitano Glauser Roist e, in seguito, dall'archeologo Farag Boswell, egiziano di madre inglese ma con lontane origini italiane. Analizzando i simboli sul morto risalgono ad una setta, gli Staurophylakes, un ordine fondato nel IV sec. d.c. dalla madre dell'imperatore Costantino, i difensori della vera croce. Scomparsi dalla storia, e dal mondo: come fare a rintracciarli?
I protagonisti dovranno subire un rito di iniziazione, come tutti gli aspiranti Staurophylakes per essere ammessi nella setta: sette prove per superare i sette peccati capitali, associate a sette città del mondo occidentale. Roma per la superbia, Ravenna per l'invidia, Gerusalemme per l'ira, Atene per l'accidia, Costantinopoli per l'avarizia, Alessandia per la gola e Antiochia per la lussuria. Per superare le prove Ottavia, la Roccia e Farag dovranno basarsi su una fondamentale opera del Medioevo (e della nostra letteratura): Il Purgatorio della Divina Commedia. Viene ipotizzato che anche Dante suia statoun aspirante "Difensore della Croce". Nel "Purgatorio" Dante ha fornito le chiavi per superare ogni prova, mascherando nei suoi versi, per ogni cinta del monte del Purgatorio, anche la soluzione.
Un romanzo intenso, sullo stile de “Il nome della Rosa” e “Il codice da Vinci”: superiore rispetto a quest'ultimo per ritmo e per i richiami storici, presenti nel libro. La presenza di questi può rendere pesante la lettura: ma è come l'iniziazione che devono passare gli stessi protagonisti, ed anche il lettore dovrà superare queste prove e non arrendersi a metà. Il risultato lo vale. Rispetto al romanzo di Eco, invece, la scrittrice ha preferito dare un finale positivo: laddove nel “Nome della Rosa” la biblioteca brucia e preziosi volumi vengono bruciati per sempre, perdendo per sempre una testimonianza della storia, ne “L'ultimo Catone”, le prove superate dai i personaggi li portano a cambiare per sempre la loro vita.
Il Purgatorio temina con Dante che, uscendo dall'ultima cinta, si addormenta ai piedi della montagna del Purgatorio, sotto un cielo di stelle. L'indomani si congeda da Virgilio per sempre, il quale non può più proseguire nel Paradiso (essendo un infedele, anche se è stato uno spirito giusto). Nell'ultimo capitolo, invece, i nostri arriveranno al Paradiso degli Staurophylakes: è la parte in cui l'azione termina, per dar inizio ad una interessante descrizione di un mondo utopistico, paradisiaco, dove vige l'insegnamento dell'arte e della bellezza “La comprensione della bellezza è la vera strada e il primo gradino verso la comprensione di ciò che è buono” (John Ruskin, scrittore e critico inglese).
Febbraio 2005
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Questa è anche la storia di una ricerca: chi sta rubando, dai più importanti musei del mondo, i pezzi della croce dove è stato crocefisso Gesù? Suor Ottavia Salina viene chiamata in Vaticano per decifrare dei simboli trovati sul corpo di un uomo, ritenuto responsabile dei furti: sono sette croci e sette lettere dell'alfabeto greco, atte a comporre la parola Stauros (in greco "croce"). Viene affiancata dal capitano Glauser Roist e, in seguito, dall'archeologo Farag Boswell, egiziano di madre inglese ma con lontane origini italiane. Analizzando i simboli sul morto risalgono ad una setta, gli Staurophylakes, un ordine fondato nel IV sec. d.c. dalla madre dell'imperatore Costantino, i difensori della vera croce. Scomparsi dalla storia, e dal mondo: come fare a rintracciarli?
I protagonisti dovranno subire un rito di iniziazione, come tutti gli aspiranti Staurophylakes per essere ammessi nella setta: sette prove per superare i sette peccati capitali, associate a sette città del mondo occidentale. Roma per la superbia, Ravenna per l'invidia, Gerusalemme per l'ira, Atene per l'accidia, Costantinopoli per l'avarizia, Alessandia per la gola e Antiochia per la lussuria. Per superare le prove Ottavia, la Roccia e Farag dovranno basarsi su una fondamentale opera del Medioevo (e della nostra letteratura): Il Purgatorio della Divina Commedia. Viene ipotizzato che anche Dante suia statoun aspirante "Difensore della Croce". Nel "Purgatorio" Dante ha fornito le chiavi per superare ogni prova, mascherando nei suoi versi, per ogni cinta del monte del Purgatorio, anche la soluzione.
Un romanzo intenso, sullo stile de “Il nome della Rosa” e “Il codice da Vinci”: superiore rispetto a quest'ultimo per ritmo e per i richiami storici, presenti nel libro. La presenza di questi può rendere pesante la lettura: ma è come l'iniziazione che devono passare gli stessi protagonisti, ed anche il lettore dovrà superare queste prove e non arrendersi a metà. Il risultato lo vale. Rispetto al romanzo di Eco, invece, la scrittrice ha preferito dare un finale positivo: laddove nel “Nome della Rosa” la biblioteca brucia e preziosi volumi vengono bruciati per sempre, perdendo per sempre una testimonianza della storia, ne “L'ultimo Catone”, le prove superate dai i personaggi li portano a cambiare per sempre la loro vita.
Il Purgatorio temina con Dante che, uscendo dall'ultima cinta, si addormenta ai piedi della montagna del Purgatorio, sotto un cielo di stelle. L'indomani si congeda da Virgilio per sempre, il quale non può più proseguire nel Paradiso (essendo un infedele, anche se è stato uno spirito giusto). Nell'ultimo capitolo, invece, i nostri arriveranno al Paradiso degli Staurophylakes: è la parte in cui l'azione termina, per dar inizio ad una interessante descrizione di un mondo utopistico, paradisiaco, dove vige l'insegnamento dell'arte e della bellezza “La comprensione della bellezza è la vera strada e il primo gradino verso la comprensione di ciò che è buono” (John Ruskin, scrittore e critico inglese).
Febbraio 2005
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La voce del violino - Andrea Camilleri
E' un Montalbano nervoso, orgoglioso, testardo quello che
deve indagare sulla morte di Michela, una bella ragazza trovata morta
nella sua villa. Nervoso perchè Livia gli chiede una decisione sulla
loro posizione, sposarsi a prescindere dall'iter per l'affidamento di
Francois (il ladro di merendine): sarà Francois stesso a decidere del
suo destino per loro.
Orgoglioso perchè per uno scontro col questore, gli viene tolto il caso e Montalbano non vuole abbassarsi a discutere con questo uomo dal doppio cognome. Testardo perchè non accetta la facile conclusione cui giunge la Mobile di Montelusa, che incolpa un cugino, un tanticchia lento di capo, dell'uccisa: decide proseguire nell'indagine, prima in segreto, poi ufficialmente fino a trovare il vero colpevole.
Febbraio 2005
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Orgoglioso perchè per uno scontro col questore, gli viene tolto il caso e Montalbano non vuole abbassarsi a discutere con questo uomo dal doppio cognome. Testardo perchè non accetta la facile conclusione cui giunge la Mobile di Montelusa, che incolpa un cugino, un tanticchia lento di capo, dell'uccisa: decide proseguire nell'indagine, prima in segreto, poi ufficialmente fino a trovare il vero colpevole.
Febbraio 2005
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Noi saremo tutto - Valerio Evangelisti
Trent'anni di storia degli Stati Uniti descritti
attraverso le vicende di un gangster italo-americano, Eddie Florio.
Questo è un personaggio realmente esistito e fu uno dei pochi, come
scrive Evangelisti nell'appendice del libro, ad essere processato per
attività mafiose nel 1953, “fu organizzatore dell’ILA a Hoboken,
appartenne ai vertici del sindacato e, unico fra gli indagati, fu
arrestato a seguito dell’inchiesta della Commissione Spruille Braden nel
1953. Dopo che ebbe scontato la prigionia, se ne persero le tracce".
Un libro che colpisce per due aspetti: la crudeltà del personaggio e la precisa ricostruzione dell'epoca. Eddie Florio è un personaggio spregevole, cinico, violento: riesce ad affermarsi come indacalista per il sindacato degli scaricatori portuali utilizzando il ricatto, lo spionaggio verso i propri compagni e la violenza. L'azione si svolge nei porti dell'america: da Seattle, dove viene inzialmente assoldato come spia, fino a San Francisco (negli anni 30), dove assiste al grande sciopero del 1934, fino a New York, negli anni 40 e 50. Evangelisti ricostruisce perfettamente il clima dell'epoca: gli scontri tra i sindacati "rossi" e i sindacati controllati (cioè che si accordavano con gli industriali e che ricattavano per non boicottarli) per ottenere l'egemonia sui lavoratori del porto. Negli anni 40, con lo scoppio della guerra, Florio è costretto a spostarsi a New York, poichè si è brucuato la reputazione tra i lavoratori di San Francisco. Anche a New York prosegue la sua ttività: la mafia costringe i veritici della marina a cedere ai propri ricatti. Evangelisti cita un episodio realmente avvenuto: l'incendio di una nave nel porto di New York; la marina, che teme questi boicottaggi, cede il controllo dei porti alla mafia per le proprie attività. Florio acquista sempre più potere, diventando membro de "L'anonima assassini", una società di Killer per la mafia. Come per Florio, anche i mafiosi vengono descritti come persone prive di morale: significativo l'episodio in cui Eddie viene messo sotto processo. Teme che i capi di cosa nostra lo vogliano punire per la sua intraprendenza. In realtà il capo, Albert Anastasia gli rimprovera di non essere abbastanza severo con la moglie.
Gli anni 50, con la fine della guerra e l'accrescimento del benessere in america (il piano Mashall che diventa una sorta di nuovo New Deal, spacciato per azione umanitaria), portano ad una nuova fase della storia: la lotta ai comunisti. Anche questo giova alla mafia: l'azione della polizia, della giustizia e dei politici si sposta sui sindacalisti di idee comuniste, lasciando campi libero alle sue attività. Durante il periodo della "caccia alle streghe" tre miliono e mezzo di americani furono messi sotto processo. Terminata questa fase di lotta anticomunista, inizia la fase discendente della carriera di Florio: viene scelto come capro espiatorio da dare in pasto alla giustizia, che ora sta finalmente mettendo alla luce i ricatti dei sindacati nei confronti delle società marittime. Invecchiato e abbandonato da tutti (avendo basato la propria vita sul tradimento, anche e soprattutto dei propri familiari), finisce immobilizzato su una carrozzina a Seattle dove era iniziata la sua storia. Significativo il finale scelto da Evangelisti, a Seattle nel 1999: con una coppia di giovani che assiste ad uno scontro tra polizia e manifestanti contro il WTO e lui, su una sedia a rotelle che sputa dal davanzale dalla finestra ma che riesce solo a lordarsi ancora di più.
E' un libro nero, anzi nerissimo: non esistono, come nei classici noir, detective o indagini da compiere. Solo l'assoluta mancanza di umanità del protagonista la cui regola è "La vita è una corsa, che vince il più abile. Chi non ce la fa si arrangi". Ricorda Ellroy di "L.A. Confidentials", per le vicende raccontate, come scritto da D'Attis su http://www.blackmailmag.com/valerio_evangelisti_noi_saremo_tutto.htm.
Un altro aspetto da rimarcare del libro è il rapporto (se così si può dire) di Florio con le donne: considerate come oggetti, stuprate, picchiate e uccise, come avviene per la prima moglie Mary Rose. Anche se saranno proprio le donne - la nipote seviziata Benedetta e l'ex cognata Amanda - a prendersi la giusta vendetta nel momento del suo tracollo.
Per concludere, il ritmo con cui vengono narrati gli eventi rende scorrevole la lettura, nonostante le dimensioni del libro (oltre 400 pagine). Lo sforzo del lettore semmai è riuscire ad assorbire la violenza delle azioni di Florio, con cui è difficile immedesimarsi.
Altri link dove si parla del libro: la home di Evangelisti, blackmailmag, ibs e bol.
P.S: il titolo è tratto dal testo dell'Internazionale socialista, che termina con la frase "Noi non siamo nulla, diventiamo tutto" (scaricabile qui).
Febbraio 2005
Link su ibs
Un libro che colpisce per due aspetti: la crudeltà del personaggio e la precisa ricostruzione dell'epoca. Eddie Florio è un personaggio spregevole, cinico, violento: riesce ad affermarsi come indacalista per il sindacato degli scaricatori portuali utilizzando il ricatto, lo spionaggio verso i propri compagni e la violenza. L'azione si svolge nei porti dell'america: da Seattle, dove viene inzialmente assoldato come spia, fino a San Francisco (negli anni 30), dove assiste al grande sciopero del 1934, fino a New York, negli anni 40 e 50. Evangelisti ricostruisce perfettamente il clima dell'epoca: gli scontri tra i sindacati "rossi" e i sindacati controllati (cioè che si accordavano con gli industriali e che ricattavano per non boicottarli) per ottenere l'egemonia sui lavoratori del porto. Negli anni 40, con lo scoppio della guerra, Florio è costretto a spostarsi a New York, poichè si è brucuato la reputazione tra i lavoratori di San Francisco. Anche a New York prosegue la sua ttività: la mafia costringe i veritici della marina a cedere ai propri ricatti. Evangelisti cita un episodio realmente avvenuto: l'incendio di una nave nel porto di New York; la marina, che teme questi boicottaggi, cede il controllo dei porti alla mafia per le proprie attività. Florio acquista sempre più potere, diventando membro de "L'anonima assassini", una società di Killer per la mafia. Come per Florio, anche i mafiosi vengono descritti come persone prive di morale: significativo l'episodio in cui Eddie viene messo sotto processo. Teme che i capi di cosa nostra lo vogliano punire per la sua intraprendenza. In realtà il capo, Albert Anastasia gli rimprovera di non essere abbastanza severo con la moglie.
Gli anni 50, con la fine della guerra e l'accrescimento del benessere in america (il piano Mashall che diventa una sorta di nuovo New Deal, spacciato per azione umanitaria), portano ad una nuova fase della storia: la lotta ai comunisti. Anche questo giova alla mafia: l'azione della polizia, della giustizia e dei politici si sposta sui sindacalisti di idee comuniste, lasciando campi libero alle sue attività. Durante il periodo della "caccia alle streghe" tre miliono e mezzo di americani furono messi sotto processo. Terminata questa fase di lotta anticomunista, inizia la fase discendente della carriera di Florio: viene scelto come capro espiatorio da dare in pasto alla giustizia, che ora sta finalmente mettendo alla luce i ricatti dei sindacati nei confronti delle società marittime. Invecchiato e abbandonato da tutti (avendo basato la propria vita sul tradimento, anche e soprattutto dei propri familiari), finisce immobilizzato su una carrozzina a Seattle dove era iniziata la sua storia. Significativo il finale scelto da Evangelisti, a Seattle nel 1999: con una coppia di giovani che assiste ad uno scontro tra polizia e manifestanti contro il WTO e lui, su una sedia a rotelle che sputa dal davanzale dalla finestra ma che riesce solo a lordarsi ancora di più.
E' un libro nero, anzi nerissimo: non esistono, come nei classici noir, detective o indagini da compiere. Solo l'assoluta mancanza di umanità del protagonista la cui regola è "La vita è una corsa, che vince il più abile. Chi non ce la fa si arrangi". Ricorda Ellroy di "L.A. Confidentials", per le vicende raccontate, come scritto da D'Attis su http://www.blackmailmag.com/valerio_evangelisti_noi_saremo_tutto.htm.
Un altro aspetto da rimarcare del libro è il rapporto (se così si può dire) di Florio con le donne: considerate come oggetti, stuprate, picchiate e uccise, come avviene per la prima moglie Mary Rose. Anche se saranno proprio le donne - la nipote seviziata Benedetta e l'ex cognata Amanda - a prendersi la giusta vendetta nel momento del suo tracollo.
Per concludere, il ritmo con cui vengono narrati gli eventi rende scorrevole la lettura, nonostante le dimensioni del libro (oltre 400 pagine). Lo sforzo del lettore semmai è riuscire ad assorbire la violenza delle azioni di Florio, con cui è difficile immedesimarsi.
Altri link dove si parla del libro: la home di Evangelisti, blackmailmag, ibs e bol.
P.S: il titolo è tratto dal testo dell'Internazionale socialista, che termina con la frase "Noi non siamo nulla, diventiamo tutto" (scaricabile qui).
Febbraio 2005
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La resa dei conti: la rappresaglia, le piazze e le foibe
In occassione della giornata della memoria per le vittime delle foibe
sono nate delle polemiche, volte a mettere in contrapposizione il
ricordo dei martiri delle foibe con i morti per le rappresagli
nazifasciste o per le morti tra i partigiani. Come se la storia fosse una coperta corta e non si potesse ricordare le une e le altre.
Tutte le morti vanno ricordate: tra l'altro gli infoibati non sono le
vittime dei partigiani, ma per saperlo occorre che delle foibe si parli.
Così come delle morti vittime della furia nazista. Mi sono allora
riletto il libro “La resa dei conti” – di Gianni Oliva Mondadori ed. (su Amazon), per rinfrescarmi la memoria.
Nella seconda guerra mondiale si contrappongono due progetti: quello nazista che voleva ridisegnare l'Europa secondo una gerarchia di razze e stabilire quali popoli avevano diritto alla cittadinanza del mondo e quali no. L'altro era quallo degli alleati, che perseguivano obbietivi sociali e politici diversi ma trovarono nella lotta al nazismo un denominatore comune. Al di là di qualsiaisi considerazione sui percorsi individuali dei combattenti, non si può dimenticare che le formazioni partigiane e le forze regolari del Regno del sud stavano dalla parte degli alleati, mentre il fascismo di Salò stava dalla parte di Hitler. Questo resta il dato storico di fondo, la “memoria” che è compito della ricerca approfondire, fissare e tramandare. Cosa succede nel periodo 1944-1945: accade la “resa dei conti”, contro i fascisti e con il fascismo; con i seviziatori, i collaborazionisti, le spie; resa dei conti contro le rappresaglie e le violenze; più in generale, resa dei conti contro un passato da cancellare. Il prezzo sono circa 20000 morti conteggiando insieme le vittime della giustizia insurrezionale e le vittime della repressione titoista.
Il volume di Gianni Oliva individua tre fenomeni, diversi tra loro per natura e diffusione geografica: il furore popolare di piazzale Loreto, riprodotto in tante piazze e piccoli borghi; la giustizia dei giorni insurrezionali, con le esecuzioni sommarie e le sentenze dei tribunali popolari; le foibe della regione giuliana, con l'eliminazione di coloro che si oppngono al comunismoe alla politica annessionistica della Jugoslavia di Tito.
Il primo fenomeno è il più noto: i cadaveri di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi fucilati a Dongo, esposti a piazzale Loreto, nello stesso luogo dove un anno prima sono stati uccisi per rappresaglia 15 antifascisti. Davanti a quello spettacolo, il furore della folla milanese esprime nella foma più ruvida tutte le esasperazioni ereditate dall'esperienza precedente: ci sono le sofferenze per i lutti, per le distruzioni per la fame; c'è la consuetudine della violenza introdotta dalla guerra civile; c'è la rabbia per i prezzi pagati, il dolore di chi ha perso il figlio al fronte, la disperazione di chi è rimasto solo. L'onnipotenza sconfitta è uno spettacolo ripratore che giunge ad invertire le posizioni precedenti, ribaltando il contrasto tra la sofferenza tra chi ubbidiva e la privilegiata sicurezza di chi comandava. E, ancora, è uno spettacolo liberatore: calpestando l'idolo si calpesta l'idolatria e ci si assolve dall'essere stati idolatri.
Il secondo fenomeno, la giustizia insurezionale porta, nei giorni della liberazione a far passare per le armi un numero significativo di persone: si tratta di militi fascisti, di individui accusati di essere collaboratori o spie degli occupanti, di esponenti del regime di Salò; in alcuni casi si tratta di capisquadra o di dirigenti di fabbrica eliminati in una logica di guerra di classe; in altri casi, sporadici, di persone di persone eliminate per motivi personali. Da una guerra civile non si esce con una semplice resa degli sconfitti: ci sono le violenze del 1921-22, i civili uccisi per rappresaglia o deportati nei lager. Ci sono i conti del passato: le manganellate e l'olio di ricino degli squadristi, la retorica arrogante del regime che ha portato alla guerra, i morti al fronte o internati in Germania, le distruzioni per i bombardamenti. Dietro queste motivazioni ci sono anche variabili di tipo politico: la volontà di rinnovamento del movimento resistenziale del Nord devono misurarsi con gli equilibri generali nei quali intervengono le autorità militari angloamericane, il governo di Roma, le formazioni politiche moderate. Sul problema dell'epurazione , nell'Italia liberata c'è stato un confronto più serrato, conclusosi con la crisi del primo governo Bonomi e la formazione di un nuovo ministero dal quale sono escluse le forze socialiste e azioniste. Tutto ciò ingenera negli ambienti resistenziali, e in particolare nelle forze comuniste, la convinzione che occorra far presto: ciò che rarà possibile realizzare, in termini di contropotere e di epurazione, è legato alla rapidità con cui il movimento partigiano saprà sfruttare il crollo tedesco, insorgendo e occupando le città prima dell'arrivo delle divisioni alleate. Gli stessi comandi alleati ritengono che un'ondata epurativa, tomultuosa ma rapida, sia lo sfogo necessario per appagare le aspettative di giustizia dei combattenti ed evitare le attese di un'attesa frustrata. La documentazione conservata negli archivi britannici permettono una quantificazione precisa del numero dei morti: circa 10000, tra Veneto, Lombardia, Emilia, Liguria e Piemonte, la maggior parte eliminati nei giorni insurezionali.
Il terzo fenomeno è quello delle “foibe”, nella regione giuliana. Sono fenditure, profonde anche decine di metri, che si aprono sul fondo di una depressione del terreno, e che l'erosione millenaria delle acque ha scavato nella spugna della roccia in forme gigantesche e tortuose. Qui al termine della guerra, sono stati gettati i cadaveri di migliaia di persone eliminate per motivi politici. Le spiegazioni del fenomeno portano ad una duplice realtà: da un lato la politica di forzata italianizzazione perseguita dal fascismo nell'Istria durante il ventennio; dall'altro la politica espansionistica di Tito e l'ambizione di annettere alla nuova Jugoslavia comunista non solo l'Istria, ma anche Trieste e il goriziano. Nella primavera del 1945, quando le trutte titoiste occupano Trieste prima degli americani, si scatena una repressione nella quale si mescolano risentimenti nazionali e volontà epurativa politica. Ufficialmente, ad essere incriminati sono criminali di guerra ed esponenti fascisti: di fatto la repressione colpisce tutti gli esponenti anticomunisti, indipendentemente dalle loro corresponsabilità col regime. Perchè al tavolo delle trattative venga riconosciuta la sovranità di Belgrado sul territorio giuliano, occorre che nessuna forma di opposizione contrasti l'annessione. Per fare questo è necessario eliminare le persone che possono guidare un movimento antiannessionistico, impedire che si affermino autorità italiane antifasciste capaci di legittimarsi come tali davanti agli occhi degli alleati. L'epurazione politica si intreccia con i contrasti all'interno del movimento resistenziale italiano, di cui pochi mesi prima è stata espressione drammatica la strage di Porzus, con le ambiguità di Togliatti e del gruppo dirigente del PCI rispetto alla definizione del confine, con la memoria delle stragi compiute in Istria nel settembre-ottobre del 43 dopo l'armistizio. Il risultato è un clima di violenza, di sospetto e di accuse. La quantificazione delle vittime ha dato luogo a polemiche: la cifra più sicura, anche in sede politica, indica le vittime in 10-12000, numero che secondo i ricercatori dell'Istituto friulano per il movimento di liberazione si raggiunge solo conteggiando tra gli “infoibati” anche i morti e i dispersi in combattimento in tutto il periodo 1943-45: la stima più credibile si attesterebbe pertanto sull'ordine di 4-5000 vittime.
Nella seconda guerra mondiale si contrappongono due progetti: quello nazista che voleva ridisegnare l'Europa secondo una gerarchia di razze e stabilire quali popoli avevano diritto alla cittadinanza del mondo e quali no. L'altro era quallo degli alleati, che perseguivano obbietivi sociali e politici diversi ma trovarono nella lotta al nazismo un denominatore comune. Al di là di qualsiaisi considerazione sui percorsi individuali dei combattenti, non si può dimenticare che le formazioni partigiane e le forze regolari del Regno del sud stavano dalla parte degli alleati, mentre il fascismo di Salò stava dalla parte di Hitler. Questo resta il dato storico di fondo, la “memoria” che è compito della ricerca approfondire, fissare e tramandare. Cosa succede nel periodo 1944-1945: accade la “resa dei conti”, contro i fascisti e con il fascismo; con i seviziatori, i collaborazionisti, le spie; resa dei conti contro le rappresaglie e le violenze; più in generale, resa dei conti contro un passato da cancellare. Il prezzo sono circa 20000 morti conteggiando insieme le vittime della giustizia insurrezionale e le vittime della repressione titoista.
Il volume di Gianni Oliva individua tre fenomeni, diversi tra loro per natura e diffusione geografica: il furore popolare di piazzale Loreto, riprodotto in tante piazze e piccoli borghi; la giustizia dei giorni insurrezionali, con le esecuzioni sommarie e le sentenze dei tribunali popolari; le foibe della regione giuliana, con l'eliminazione di coloro che si oppngono al comunismoe alla politica annessionistica della Jugoslavia di Tito.
Il primo fenomeno è il più noto: i cadaveri di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi fucilati a Dongo, esposti a piazzale Loreto, nello stesso luogo dove un anno prima sono stati uccisi per rappresaglia 15 antifascisti. Davanti a quello spettacolo, il furore della folla milanese esprime nella foma più ruvida tutte le esasperazioni ereditate dall'esperienza precedente: ci sono le sofferenze per i lutti, per le distruzioni per la fame; c'è la consuetudine della violenza introdotta dalla guerra civile; c'è la rabbia per i prezzi pagati, il dolore di chi ha perso il figlio al fronte, la disperazione di chi è rimasto solo. L'onnipotenza sconfitta è uno spettacolo ripratore che giunge ad invertire le posizioni precedenti, ribaltando il contrasto tra la sofferenza tra chi ubbidiva e la privilegiata sicurezza di chi comandava. E, ancora, è uno spettacolo liberatore: calpestando l'idolo si calpesta l'idolatria e ci si assolve dall'essere stati idolatri.
Il secondo fenomeno, la giustizia insurezionale porta, nei giorni della liberazione a far passare per le armi un numero significativo di persone: si tratta di militi fascisti, di individui accusati di essere collaboratori o spie degli occupanti, di esponenti del regime di Salò; in alcuni casi si tratta di capisquadra o di dirigenti di fabbrica eliminati in una logica di guerra di classe; in altri casi, sporadici, di persone di persone eliminate per motivi personali. Da una guerra civile non si esce con una semplice resa degli sconfitti: ci sono le violenze del 1921-22, i civili uccisi per rappresaglia o deportati nei lager. Ci sono i conti del passato: le manganellate e l'olio di ricino degli squadristi, la retorica arrogante del regime che ha portato alla guerra, i morti al fronte o internati in Germania, le distruzioni per i bombardamenti. Dietro queste motivazioni ci sono anche variabili di tipo politico: la volontà di rinnovamento del movimento resistenziale del Nord devono misurarsi con gli equilibri generali nei quali intervengono le autorità militari angloamericane, il governo di Roma, le formazioni politiche moderate. Sul problema dell'epurazione , nell'Italia liberata c'è stato un confronto più serrato, conclusosi con la crisi del primo governo Bonomi e la formazione di un nuovo ministero dal quale sono escluse le forze socialiste e azioniste. Tutto ciò ingenera negli ambienti resistenziali, e in particolare nelle forze comuniste, la convinzione che occorra far presto: ciò che rarà possibile realizzare, in termini di contropotere e di epurazione, è legato alla rapidità con cui il movimento partigiano saprà sfruttare il crollo tedesco, insorgendo e occupando le città prima dell'arrivo delle divisioni alleate. Gli stessi comandi alleati ritengono che un'ondata epurativa, tomultuosa ma rapida, sia lo sfogo necessario per appagare le aspettative di giustizia dei combattenti ed evitare le attese di un'attesa frustrata. La documentazione conservata negli archivi britannici permettono una quantificazione precisa del numero dei morti: circa 10000, tra Veneto, Lombardia, Emilia, Liguria e Piemonte, la maggior parte eliminati nei giorni insurezionali.
Il terzo fenomeno è quello delle “foibe”, nella regione giuliana. Sono fenditure, profonde anche decine di metri, che si aprono sul fondo di una depressione del terreno, e che l'erosione millenaria delle acque ha scavato nella spugna della roccia in forme gigantesche e tortuose. Qui al termine della guerra, sono stati gettati i cadaveri di migliaia di persone eliminate per motivi politici. Le spiegazioni del fenomeno portano ad una duplice realtà: da un lato la politica di forzata italianizzazione perseguita dal fascismo nell'Istria durante il ventennio; dall'altro la politica espansionistica di Tito e l'ambizione di annettere alla nuova Jugoslavia comunista non solo l'Istria, ma anche Trieste e il goriziano. Nella primavera del 1945, quando le trutte titoiste occupano Trieste prima degli americani, si scatena una repressione nella quale si mescolano risentimenti nazionali e volontà epurativa politica. Ufficialmente, ad essere incriminati sono criminali di guerra ed esponenti fascisti: di fatto la repressione colpisce tutti gli esponenti anticomunisti, indipendentemente dalle loro corresponsabilità col regime. Perchè al tavolo delle trattative venga riconosciuta la sovranità di Belgrado sul territorio giuliano, occorre che nessuna forma di opposizione contrasti l'annessione. Per fare questo è necessario eliminare le persone che possono guidare un movimento antiannessionistico, impedire che si affermino autorità italiane antifasciste capaci di legittimarsi come tali davanti agli occhi degli alleati. L'epurazione politica si intreccia con i contrasti all'interno del movimento resistenziale italiano, di cui pochi mesi prima è stata espressione drammatica la strage di Porzus, con le ambiguità di Togliatti e del gruppo dirigente del PCI rispetto alla definizione del confine, con la memoria delle stragi compiute in Istria nel settembre-ottobre del 43 dopo l'armistizio. Il risultato è un clima di violenza, di sospetto e di accuse. La quantificazione delle vittime ha dato luogo a polemiche: la cifra più sicura, anche in sede politica, indica le vittime in 10-12000, numero che secondo i ricercatori dell'Istituto friulano per il movimento di liberazione si raggiunge solo conteggiando tra gli “infoibati” anche i morti e i dispersi in combattimento in tutto il periodo 1943-45: la stima più credibile si attesterebbe pertanto sull'ordine di 4-5000 vittime.
Sui colli all'alba - Loriano Machiavelli
Sarti scopre il cadavere di un'impiegata, nell'ufficio del
re del caffè solubile di Bologna (che affronto per un amante del caffè
come Sarti), Costantino de' Chiari. L'ispettore capo Raimondi Cesare
sentenzia "omicidio passionale " e viene incolpato il fidanzato.
Tutto bene, anzi no: a casa del ragazzo, Piergiorgio Laffi, vengono trovate delle armi e dei volantini del Armata Rivoluzionaria Proletaria. Ed ecco che dal passionale si passa al politico. Vengono arrestati tutti i membri dell'armata, eccetto il ragazzo che è riuscito a scappare. Nella notte, mentre la polizia riceve una telefonata anonima che li avverte di una bomba alla stazione centrale, viene rapito Costantino (il re del caffè).
A causa degli insuccessi nella cattura del Laffi (il presunto assassino), Sarti viene destituito dalle indagini: potrebbe restarsene a casa a riposare o sulla macchina 28 a fare i giri di pattuglia. Ma viene quasi costretto a proseguire privatamente le indagini dalla madre del rapito, Antonia De Chiari: e qui iniziano i guai per Sarti Antonio, sergente.
Ha promesso ad Antonia, una bella donna cui non ha saputo dire no, che avrebbe indagato e riportato a casa il figlio, ma sa che l'ispettore capo (che gli ha piazzato come spia il compare di pattuglia Cantoni) non deve sapere che sta indagando. A chi rivolgersi per sbrogliare la matassa che coinvolge organizzazioni rivoluzionarie e la Bologna bene? Ma a Rosas naturalmente.
Assieme, Rosas, Sarti Antonio capiscono cosa sta dietro il rapimento: ricchi borghesi che perdono le loro giornata in giochi stupidi, finti rivoluzionari, borghesi anche loro, che giocano alla rivoluzione. Il tutto nella città di Bologna e con la solita ironia pungente di Sarti, che serve a rendere meno indolore la vita al sergente
Febbraio 2005
Link su ibs
Tutto bene, anzi no: a casa del ragazzo, Piergiorgio Laffi, vengono trovate delle armi e dei volantini del Armata Rivoluzionaria Proletaria. Ed ecco che dal passionale si passa al politico. Vengono arrestati tutti i membri dell'armata, eccetto il ragazzo che è riuscito a scappare. Nella notte, mentre la polizia riceve una telefonata anonima che li avverte di una bomba alla stazione centrale, viene rapito Costantino (il re del caffè).
A causa degli insuccessi nella cattura del Laffi (il presunto assassino), Sarti viene destituito dalle indagini: potrebbe restarsene a casa a riposare o sulla macchina 28 a fare i giri di pattuglia. Ma viene quasi costretto a proseguire privatamente le indagini dalla madre del rapito, Antonia De Chiari: e qui iniziano i guai per Sarti Antonio, sergente.
Ha promesso ad Antonia, una bella donna cui non ha saputo dire no, che avrebbe indagato e riportato a casa il figlio, ma sa che l'ispettore capo (che gli ha piazzato come spia il compare di pattuglia Cantoni) non deve sapere che sta indagando. A chi rivolgersi per sbrogliare la matassa che coinvolge organizzazioni rivoluzionarie e la Bologna bene? Ma a Rosas naturalmente.
Assieme, Rosas, Sarti Antonio capiscono cosa sta dietro il rapimento: ricchi borghesi che perdono le loro giornata in giochi stupidi, finti rivoluzionari, borghesi anche loro, che giocano alla rivoluzione. Il tutto nella città di Bologna e con la solita ironia pungente di Sarti, che serve a rendere meno indolore la vita al sergente
Febbraio 2005
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Il poeta – Michael Connelly
Jack Mc Evoy è un giornalista di nera: suo fratello, detective della
omicidi, si uccide. Non convinto che il fratello, gemello, si sia potuto
uccidere decide di indagare da sé. Scopre che ci sono stati, in altri
stati, altri suicidi di poliziotti della sezione omicidi, che stavano
indagando su assassini di bambini: in tutti i casi, le morti e le
difficoltà del caso avevano ossessionato i poliziotti. Viene coinvolta
anche l'FBI e Jack, promettendo che non rivelerà nulla del serial killer
scrivendo un articolo, viene inserito nel gruppo di indagine. Inizia la
caccia al “Poeta”: l'assassino lascia una firma sui morti, un verso del
poeta Poe. Nella seconda parte del libro, il ritmo si accende: fino al
finale dove, in un colpo di scena incredibile, si svela l'identità del
Poeta.
E un giallo che segue un clichè già visto: l'assassino seriale, la polizia locale che non riesce a sbrogliare la matassa, l'FBI impegnata più a risolvere le sue beghe interne, e il singolo, in questo caso il giornalista, che deve indagare. Jack prova un senso di colpa nei confronti di Sean, il fratello, con cui aveva rovinato i rapporti a seguito di un litigio (l'indagine che stava ossessionado il poliziotto). Merito dello Connelly, aver saputo costruire una trama complessa, che si svela al lettore solo alla fine.
Gennaio 2005
Link su ibs
E un giallo che segue un clichè già visto: l'assassino seriale, la polizia locale che non riesce a sbrogliare la matassa, l'FBI impegnata più a risolvere le sue beghe interne, e il singolo, in questo caso il giornalista, che deve indagare. Jack prova un senso di colpa nei confronti di Sean, il fratello, con cui aveva rovinato i rapporti a seguito di un litigio (l'indagine che stava ossessionado il poliziotto). Merito dello Connelly, aver saputo costruire una trama complessa, che si svela al lettore solo alla fine.
Gennaio 2005
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Misteri di Natale (ed San Paolo) – autori vari
Qualcuno ha detto che ha Natale siamo tutti più buoni. Beh, magari non è
vero, ma lo spirito natalizio spinge i protagonisti delle storie
raccontate nel libro a riflettere sulla propria vita, a tracciare un
bilancia su se stessi. Tutti i racconti hanno in comune la notte di
Natale, nella quale avvengono situazioni incredibili: per affrontare
queste i personaggi sono costretti a fare delle scelte a trovare una
direzione e capire quale è il compito della loro vita.
Dalla prefazione di Marco Beck: “in Italia il romanzo poliziesco sta oggi conquistando una dignità letteraria e un'incisività nel disegnare il volto reale del paese che lo innalza al di sopra del minimalismo di tanti narratori concentrati nella contemplazione del proprio ombelico. Il vero giallo – si afferma – è ormai un contenitore tecnico utilizzato per raccontare non tanto un'inchiesta, ma quanto la vita ..”
Tra i racconto mi sono piaciuti quelli di Ezio Meroni, “La messa partigiana”, che racconta di una notte di Natale particolare per un prete di montagna, che la trascorre tra i partigiani. “L'ultimo Natale”, di Valerio Massimo Manfredi, dove si arriva alla paradossale situazione in cui l'islamismo è diventata la prima religione in Italia. L'ultimo Papa avrà la forza di ripartire da capo. Il romanzo più nero è quello di Nicoletta Vallorani “L'ultimo scatto”, dove si parla di un killer che uccide bambini e di una giornalista che ne segue i delitti.
Altri racconti sono invece delle freddure, come “Collaborando col boia” di Giulio Leoni, “Colpo di pistola in periferia” di Piero Lotito, “La prova del nove” di Nicoletta Sipos e "Regalo di Natale" di Andrea Vitali. Altri invece hanno un tono più riflessivo, in tema col Natale, come “Tra il sole e la notte” di Claudia Salvatori, dove il protagonista è Simone lo Stilita che riflette su dove sta il bene e il male. “Duel” di Liliana Cantatore: un bilancia sulla propria vita fatta da un professore, in fuga a Parigi, che decide di costituirsi.
Infine, altri autori hanno scritto una storia leggera, da fiaba, come “Volpino” di Raffaele Crovi, “Un colpo di testa stratosferico” di Curzia Ferrari, “Bambini” di Marco Vichi.
Gennaio 2005
Non trovo un link per ordinarlo.
Dalla prefazione di Marco Beck: “in Italia il romanzo poliziesco sta oggi conquistando una dignità letteraria e un'incisività nel disegnare il volto reale del paese che lo innalza al di sopra del minimalismo di tanti narratori concentrati nella contemplazione del proprio ombelico. Il vero giallo – si afferma – è ormai un contenitore tecnico utilizzato per raccontare non tanto un'inchiesta, ma quanto la vita ..”
Tra i racconto mi sono piaciuti quelli di Ezio Meroni, “La messa partigiana”, che racconta di una notte di Natale particolare per un prete di montagna, che la trascorre tra i partigiani. “L'ultimo Natale”, di Valerio Massimo Manfredi, dove si arriva alla paradossale situazione in cui l'islamismo è diventata la prima religione in Italia. L'ultimo Papa avrà la forza di ripartire da capo. Il romanzo più nero è quello di Nicoletta Vallorani “L'ultimo scatto”, dove si parla di un killer che uccide bambini e di una giornalista che ne segue i delitti.
Altri racconti sono invece delle freddure, come “Collaborando col boia” di Giulio Leoni, “Colpo di pistola in periferia” di Piero Lotito, “La prova del nove” di Nicoletta Sipos e "Regalo di Natale" di Andrea Vitali. Altri invece hanno un tono più riflessivo, in tema col Natale, come “Tra il sole e la notte” di Claudia Salvatori, dove il protagonista è Simone lo Stilita che riflette su dove sta il bene e il male. “Duel” di Liliana Cantatore: un bilancia sulla propria vita fatta da un professore, in fuga a Parigi, che decide di costituirsi.
Infine, altri autori hanno scritto una storia leggera, da fiaba, come “Volpino” di Raffaele Crovi, “Un colpo di testa stratosferico” di Curzia Ferrari, “Bambini” di Marco Vichi.
Gennaio 2005
Non trovo un link per ordinarlo.
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